Roma, 9 ottobre 2023 – Per tutti, in Israele, è semplicemente Bibi, un soprannome dal tono scanzonato, che non suggerisce minimamente che la persona a cui si riferisce è il protagonista degli ultimi 20 anni di storia del Paese. Colui che, secondo molti, con i suoi errori, l’ha portato a un isolamento progressivo, che l’ha reso sempre più vulnerabile agli occhi di quei Paesi che, in modo più o meno celato, vorrebbero la sua distruzione. Benjamin Netanyahu vorrebbe essere ricordato come colui che ha affrontato la minaccia iraniana, salvato il popolo ebraico dalle numerose minacce a cui è sottoposto e lanciare Israele verso un futuro prospero e radioso. Teheran è più attiva che mai, il territorio nazionale si è trovato il nemico letteralmente in casa e soprattutto la democrazia israeliana, l’unica davvero solida e autentica del Medio Oriente, si sta affievolendo progressivamente, complice anche la riforma giudiziaria che ha letteralmente spaccato in due l’opinione pubblica, ma non solo.
L’insistere di Bibi sulla revisione giudiziaria ha portato in piazza migliaia di persone per 29 settimane e messo in contrapposizione varie correnti delle forze di sicurezza e dell’intelligence israeliana. A partire dalla sua ultima rielezione, nel dicembre del 2022, la vita civile e politica del Paese si è trasformata in un referendum su Netanyahu e sul futuro stesso di Israele. Bibi ha ripreso il potere grazie al sostegno di partiti ultra ortodossi, con buona pace della laicità sulla quale lo Stato ebraico ha fondato la sua stessa esistenza. Ma i suoi errori di Bibi si possono datare indietro di oltre due decenni e, nel giudizio finale, rischiano di inficiare i meriti che ha avuto come ministro delle Finanze, incentivando la ricerca e trasformando Israele nel Paese delle start-up, favorendone così la crescita economica. La questione palestinese è un’arma nelle mani di quei Paesi che vorrebbero vedere Israele sparire dalla faccia della terra. Occorre ammettere, però, che Bibi non è stato certo la controparte più indicata per risolverla. Che non sarebbe finita bene, lo si doveva capire già dal 1996, quando fu eletto per la prima volta. Definì "un errore" gli Accordi di Oslo, firmati da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel 1993, che rappresentarono un momento di speranza per la pace in Medio Oriente.
La sua politica espansiva in fatto di nuovi insediamenti di coloni contribuì non poco a farli naufragare. Il suo atteggiamento di tolleranza zero ha portato l’organizzazione terroristica Hamas ad accrescere i suoi consensi e a ergersi come controparte in una contrapposizione con Israele che poteva solo essere di matrice violenta. Ma Netanyahu ha sbagliato le sue mosse anche in politica estera. Il muro contro muro con il presidente americano Barack Obama, e la contrarietà all’accordo sul nucleare iraniano ha finito per isolare Israele anche rispetto alla comunità internazionale. Bibi è riuscito a sbagliare anche quando avrebbe avuto parte della ragione. Con il suo atteggiamento intransigente non è riuscito a fare capire agli Usa, che volevano disimpegnarsi in nell’area, che la regione stava cambiando e che alcuni falsi amici, in testa la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, erano pronti a prendere le parti dei Fratelli Musulmani e a utilizzare la questione palestinese per annientare Israele.
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