Quando è partito con urgenza per Doha lunedì, il direttore del Mossad David Barnea, capo negoziatore per Israele, aveva in mano il mandato di Benjamin Netanyahu (foto): cioè, riferire al premier del Paese mediatore al Thani, principale tramite con Hamas, che Israele avrebbe sostenuto l’accordo di ritirare le sue truppe dal corridoio Filadelfia e dal valico di Rafah. In linea con il piano Biden, purché fossero soddisfatte le richieste operative. Qualche ora dopo lo stesso premier ha preso la parola in una conferenza stampa a Gerusalemme, due giorni dopo il ritrovamento dei sei ostaggi uccisi da Hamas a Rafah e a due mesi dall’ultima volta in cui aveva parlato in pubblico. Davanti a una mappa interattiva della Striscia, con tanto di missilini, icone di terroristi in miniatura e sacchi di dollari, con una bacchetta in mano, Netanyahu ha escluso il ritiro dell’Idf dall’asse Filadelfia perché "il conseguimento degli obiettivi della guerra a Gaza passano per quel corridoio".
Ottenendo il biasimo dell’intero mondo arabo.
"La conferenza stampa di Netanyahu aveva lo scopo di far naufragare l’accordo per ragioni politiche", ha tagliato corto un alto funzionario israeliano parlando con Haaretz. L’ufficio del premier non ha negato il timing e la ricostruzione degli eventi – partenza per Doha di Barnea e dichiarazioni di Netanyahu – riportata dai media locali e arabi, ma ha commentato che "il gabinetto non è ancora stato invitato a discutere alcuna parte della seconda fase dell’accordo".