Roma, 17 febbraio 2024 – In molti pensano che la sua sorte fosse già scritta e che abbia fatto male a tornare dalla Germania. Non avevano fatto i conti con due aspetti. Il primo è che Aleksej Anatolevich Navalny era russo e i russi hanno una vocazione al sacrificio e ad andare incontro al proprio destino incomprensibile per noi occidentali. Il secondo è che il nemico numero uno di Putin credeva genuinamente in quello che faceva e questo lo rendeva tremendamente pericoloso anche quando non lo era più. Navalny è morto ieri in una prigione russa.
Le origini
Nato a Mosca, una laurea in legge, Navalny aveva appena 47 anni e metà li ha passati a combattere per il suo Paese, rimanendo qualche volta vittima di critiche a causa delle sue posizioni nazionaliste, con le dichiarazioni sul riportare l’Ucraina e la Bielorussia sotto l’influenza di Mosca, e spesso sotto il fuoco dei tanti che non lo amavano e che lo accusavano di essere un agente al soldo degli americani.
L’assassinio di Nemtsov
Probabilmente, sapeva che la sua sorte era già segnata da tempo, per la precisione da quel 27 febbraio 2015, quando Boris Nemtsov fu assassinato con un colpo di pistola mentre attraversava un ponte sulla Moscova a poche centinaia di metri in linea d’aria dal Cremlino. Anche in quel caso, il presidente Putin aveva voluto dare un messaggio chiaro a chi voleva mettere in discussione il suo potere.
La politica via social
Navalny non solo lo ha sfidato, lo ha fatto anche in un modo nuovo, sparigliando completamente le carte sul tavolo. Una politica ‘porta a porta’, ma utilizzando i social network, parlando ai giovani, a tutte quelle persone che, per motivi diversi, volevano una Russia libera da Putin. Ma, soprattutto, ha colpito il presidente sulla cosa che gli stava più a cuore in assoluto: la gestione, anche economica, del potere.
La Fondazione anti corruzione
Per questo motivo, all’inizio, veniva chiamato, in modo sprezzante ‘un blogger’. Con le inchieste della sua Fondazione Anticorruzione, in pochi anni Navalny ha scoperchiato tutto il sistema di tangenti, abusi di potere, favori riservati al presidente e al suo cerchio magico, attaccando Putin sul piano dell’onestà, prima ancora che su quello politico. Cosa che nessuno prima di lui si era mai permesso di fare. Poi è arrivata la discesa in politica e l’opposizione è diventata aperta.
Il partito
Il suo partito, Russia del Futuro, non ha mai potuto davvero rappresentare una minaccia per il presidente, a causa dei boicottaggi, delle accuse mosse ai suoi componenti, con tutti che hanno avuto problemi con la giustizia. In testa proprio Navalny, condannato per la prima volta a tre anni per appropriazione indebita, una sentenza che molti giudicarono politica.
L’avvelenamento
Ma l’oppositore non si piegava e così sono arrivati i tentativi di avvelenamento, soprattutto quello dell’agosto 2020, dove riuscì a salvarsi solo dopo un trasferimento in Germania autorizzato dal presidente Putin in seguito alle pressioni internazionali, soprattutto quelle dell’allora Cancelliera tedesca, Angela Merkel.
Lo smart voting
A quel punto, Navalny, aveva due scelte: rimanere all’estero o tornare nella sua patria a lottare. Scelse la seconda e se non poteva sfidare direttamente Putin, inventò un modo per fargli almeno perdere consensi, ossia lo smart voting, che consisteva nel votare il candidato nei singoli collegi che aveva più opportunità di batterlo. A quel punto, da oppositore si trasformò in nemico della Russia.
Sorte segnata
Sapeva che la sua sorte era segnata, ma non ha mai smesso di comunicare via social con i suoi sostenitori e il popolo russo. "Non ho il privilegio di potermi sentire una persona sicura in Russia – disse nel 2020 in un’intervista –. Ma non voglio vedere la Russia guidata da un gruppo di assassini". L’ultima iniziativa era una manifestazione in occasione delle prossime elezioni. Tutti alla stessa ora davanti ai seggi. Non per votare, ma per protestare.