
Il crollo di un edificio a Naypyidaw, la capitale del Myanmar. Drammatica la situazione all’ospedale
Roma, 29 marzo 2025 – Erika Vitale, 37 anni, torinese, Asia manager della Ong MedAcross, è a Ranong, in Thailandia, sul confine con il Myanmar, a 1.700 chilometri dal terremoto. L’abbiamo raggiunta al telefono ieri pomeriggio.

Quali sono le sue ultime informazioni?
“Si temono migliaia di morti. Siamo riusciti a contattare un collaboratore di un partner locale, abbiamo comunicato di aver avviato una raccolta fondi e abbiamo chiesto di fare una valutazione sulle necessità primarie. Domani (oggi, ndr) ci faranno sapere di che cosa c’è bisogno prima di tutto e se l’organizzazione in questo momento ha ancora la struttura per potersi attivare, con il nostro supporto. Gli uffici sono distrutti, molti veicoli e strutture sanitarie sono andati persi”.
Si sta muovendo la macchina degli aiuti.
“In passato non è stato facile nemmeno inviare fondi, anche quelli sono stati pesantemente ristretti e controllati. La situazione era già drammatica, prima del terremoto. Storicamente hanno consentito l’ingresso alla Croce Rossa, unica organizzazione che durante il regime militare più duro ha potuto operare nel paese”.
Il nostro ministero degli Esteri ha contato un centinaio di italiani in Myanmar.
“Le imprese però hanno chiuso gli uffici, praticamente sono venuti via tutti, la situazione non era più sostenibile. Come organizzazioni umanitarie siamo rimasti in pochissimi. Noi come MedAcross abbiamo sempre continuato a lavorare, prima durante e dopo il colpo di Stato. Ma solo con personale birmano”.
Come si svolge il vostro lavoro?
“Siamo in Myanmar da 9 anni. Abbiamo cliniche mobili, portiamo le équipe sanitarie nei villaggi sparsi nelle foreste e nelle zone rurali. Operiamo a sud. Abbiamo lavorato in passato anche nella zona colpita dal sisma, dove abbiamo ancora una rete di collaboratori. Appena saputo del terremoto, abbiamo iniziato a contattarli”.
Conosce italiani che si trovano nella zona epicentro?
“No, le altre organizzazioni ancora attive sul Myanmar fanno soprattutto base a Yangon. Anche perché la zona è al centro del conflitto. Quindi tutte le organizzazioni internazionali hanno spostato il loro personale in aree più sicure”.