Domenica 24 Novembre 2024
MARTA OTTAVIANI
Esteri

Missili per colpire in Russia. Gli Usa prendono tempo. Scambiati 206 prigionieri

Dopo la visita del premier inglese a Washington si attende il via libera di Biden. Altri Paesi potrebbero autorizzare l’Ucraina. Mosca e Kiev si restituiscono soldati.

Missili per colpire in Russia. Gli Usa prendono tempo. Scambiati 206 prigionieri

Alcuni dei prigionieri ucraini rilasciati da Mosca in cambio di soldati russi

Colpire la Russia sì, ma con i missili degli altri. Potrebbe essere questa la strategia del presidente americano Joe Biden, complice anche la disponibilità della Gran Bretagna che si conferma il nemico numero uno di Mosca e di certo la nazione che più vuole chiudere la partita ucraina in breve tempo e a favore di Kiev.

La visita del premier inglese, Keir Starmer, a Washington, sulla carta doveva essere di commiato al presidente uscente. Ma ci sono due guerre in atto e la Cina da contenere. Quindi è stata l’occasione per stabilire una partnership strategica in più quadranti geopolitici. Con l’Ucraina, però che ha la priorità su tutto. Soprattutto per Starmer, arrivato nella capitale americana con il fermo intento di smorzare la reticenza di Biden e convincerlo a colpire obiettivi militari sul territorio russo nel momento in cui questi attaccano l’Ucraina. E se proprio non si può raggiungere l’umanità all’interno della Nato, almeno consentire ai singoli Paesi di organizzarsi autonomamente.

In particolare, Londra potrebbe acconsentire all’impiego degli Storm Shadow. Si tratta di missili da crociera, con una gittata di 250 chilometri, in grado di colpire con precisione depositi, bunker, basi di lancio. Non saranno americane, insomma, ma per Mosca rappresentano un grosso problema.

L’inquilino della Casa Bianca tentenna da settimane sull’argomento, tirato per la giacca anche dallo stesso presidente Zelensky, che è prossimo alla presentazione di un piano che vorrebbe essere di pace, ma che in realtà spera di colpire Mosca e di portarla al tavolo in una situazione di debolezza. Starmer gli ha fatto vedere la situazione da un altro punto di vista. Il numero uno di Kiev è tornato a perorare la sua causa, chiedendo di poter utilizzare armi occidentali in Russia, prima che sia troppo tardi e poi perché il contenimento della Russia in Ucraina servirà anche a disincentivare Corea del Nord e Iran a fornire armi al Cremlino e mandare un messaggio alla Cina, vero big player su più teatri, sul fatto che la Nato vigila su quelli che sono i terreni chiave del mondo di domani. Motivo per cui la Piazza Rossa tiene d’occhio non solo quello che succede a Kiev, ma anche il possibile invio di missili americani in Giappone, Paese notoriamente in pessimi rapporti con la Russia e con la Cina. Si naviga a vista, insomma.

Gli sforzi diplomatici non hanno ancora portato alla costituzione di un tavolo negoziale, ma almeno tengono teso un filo verde speranza e cercano di lavorare perché non si spezzi.

Lo strumento di dialogo, al momento, è rappresentato dallo scambio di prigionieri. Ieri le autorità di Mosca e Kiev hanno confermato lo scambio di 103 militari per parte. Si tratta di soldati attivi soprattutto nella zona di Mariupol e in Donbass, il cuore vero di questa guerra, dove storie personali e interessi confliggono. Un risultato reso possibile dall’intervento degli Emirati Arabi Uniti. Segno che gli attori in gioco sono tanti, ognuno con il proprio tornaconto.