Giovedì 19 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA, INVIATO
Esteri

Il dramma sulle coste tunisine: “Arrivare in Italia o morire, non abbiamo altre scelte”

Nascosti negli uliveti a 30 chilometri da Sfax, da dove partono quasi tutti i barchini. Le imbarcazioni sequestrate o recuperate vengono bucate e ammassate nel ’cimitero dei sogni’

Sfax (Tunisia), 28 novembre 2023 – Gli uliveti sono infiniti. Il mezzo dei vigili del fuoco corre a tutta velocità verso la periferia di El Amra, un centro agricolo 36 chilometri a nord di Sfax, la seconda città tunisina. È qui che la polizia e la Guardia Nazionale a metà settembre hanno portato molte migliaia di immigrati irregolari subsahariani che per tutta l’estate hanno bivaccato attorno alla medina di Sfax e dopo l’uccisione di un tunisino erano stati fatti oggetto di atti xenofobi. L’UE guardava e si è deciso di allontanarli purchessia. Da allora i migranti non hanno avuto altra opzione che bivaccare sotto gli ulivi, senza alcuna assistenza, e sperare di salire su uno dei barchini che partono dalla vicina costa di La Louza, alla volta di Lampedusa, che si trova appena a 148 chilometri a est-nord-est. Ma la Guardia Nazionale tunisina è molto aggressiva con i trafficanti e venerdì è scoppiato il fattaccio. Un mezzo della Guardia nazionale che aveva appena messo fuori uso sulla costa tre dei famigerati (perché sommamente instabili) barchini in metallo artigianali è stato intercettato mentre rientrava a Sfax, ed è stato assalito da una folla di un paio di centinaia di migranti subsahariani che l’hanno bloccato, rovesciato e dato alle fiamme, mentre i tre poliziotti che erano dentro hanno avuto la peggio e sono stati duramente picchiati. Con i vigili del fuoco è arrivata una unità di pronto intervento della Guardia Nazionale, il controllo dell’area è stato ripreso e l’indomani sono arrivati una ventina di arresti. Ma la situazione è molto tesa, perché attorno ad El Amra ci sono migliaia di migranti – secondo una stima poco meno di diecimila – e tutti , nessuno escluso, vogliono solo una cosa: l’Italia.

Alcuni migranti in attesa di capire quando e come potranno lasciare le coste tunisine
Alcuni migranti in attesa di capire quando e come potranno lasciare le coste tunisine

“Ascolta – ci ha detto Mamadou, ventenne ivoriano – noi abbiamo una sola speranza, andarcene. Io sono otto mesi che sono partito dal mio villaggio e mi restano solo 1.500 dinari, meno dei 2 mila dinari (600 euro), che sono il minimo per poter salire su una barca. E quindi ho solo una speranza, che il passeur mi accetti come timoniere o come comandante. Di sicuro o muoio o arrivo in Italia”. “Dopo la guerra e la fame – dice Waleed, un altissimo ragazzo sudanese – non ho paura di nulla. Neanche del mare, che non ho mai visto”. Spesso non va a finire bene, e lo vedi plasticamente dove sorge il porticciolo da pesca di Elluata, creato accanto al villaggio di la Louza. Il cimitero dei sogni perduti compare alla fine del promontorio artificiale e ti lascia senza fiato, perché dà forma a quei dati che hai sempre letto e che invece ora si materilizzano: quei barchini erano pieni di esseri umani. Questa costa dalle acque cristalline, sulle cui rive alcuni fenicotteri minori, avocette e altri uccelli passeggiano tra troppe bottiglie di plastica, è diventata da mesi il centro di gravità permanente dei passeurs tunisini. Da qui, lungo una decina di chilometri di costa sabbiosa, partono gli scafi dei migranti (tipicamente 50-60 a imbarcazione). Partono, ma molti non arrivano. Il cimitero degli scafi accatastati alla rinfusa uno sopra l’altro, con un ordine casuale che lo rende ancora più spettrale, è un monumento tragico al dolore delle migrazioni. Saranno almeno 120 gli scafi, e per i quattro quinti sono barchini in metallo. Molti sono deformati, ammaccati, tutti vengono intenzionalemente bucati dalla Guardia Nazionale per renderli inservibili. Tanti sono stati sequestrati sulla spiaggia, parecchi altri con il carico già a bordo, in acque tunisine. “Ma molti – racconta un pescatore – sono stati trovati al largo rovesciati e sono stati portati a riva perché non fossero riutilizzati”. Sono cioè relitti di naufragi. Se anche fossero solo il 20% del totale, parliamo di un carico di 1.100-1.300 persone. Il che, tragicamente, non potrebbe essere una stima lontana dalla realtà se è vero come è vero che la Guardia nazionale tunisina, dati forniti ad agosto dal suo portavoce, ha raccolto nel periodo gennaio-giugno 2023 i corpi di 789 migranti. Una strage. Ora, sebbene a ottobre ci sia stata una flessione nelle partenze, il flusso non si è interrotto. Per capire l’entità del fenomeno basta leggere i dati della Guardia Nazionale, che, assieme alla Marina, in soli 5 giorni dal 19 al 23 novembre compreso, ha bloccato la bellezza di 81 tentativi di migrazione illegale, arrestando 53 presunti scafisti (in realtà quasi sempre scafisti per caso e disperazione) intercettando 2.096 migranti, dei quali appena 89 tunisini e tutto gli altri subsahriani. Quei duemila sono tornati mestamente sotto gli ulivi. E da lì, appena potranno, ripartiranno verso l’Italia.

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