Roma, 14 giugno 2018 - Patti chiari , aiuti copiosi, amicizia lunga. Le milizie libiche, che gestiscono il gran business dell’immigrazione – variamente camuffate –, vogliono garanzie dal nuovo governo gialloverde: i cordoni della borsa generosamente aperti dal ministro dell’Interno Marco Minniti devono restare aperti. «Come voi sapete – ha detto un intermediario libico ai nostri – nei campi libici ci sono in Libia 52.031 potenziali richiedenti asilo provenienti da Siria, Sudan, Palestina ed Eritrea. Se partono, dovreste prenderveli e tenerveli tutti. Meglio che non partono». Gli arrivi di questi giorni, in larga parte migranti economici, sono ‘un post it’, come dice un uomo dei nostri servizi segreti che ha svolto un ruolo nel bloccare il flusso con amichevoli aiuti allo sviluppo libico. Anche al Viminale, come alla Farnesina e a forte Braschi (sede dell’Aise), sanno benissimo come vanno le cose e per questo al ministero dell’Interni (e non solo) si sta lavorando alla annunciata missione di Salvini in terra libica.
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«Entro qualche settimana – ha detto nei giorni scorsi il ministro – conto di andare in Libia e chiederò di cosa hanno bisogno per far star bene la loro gente». L’intenzione sarebbe anche quella aprire grandi centri di accoglienza sotto la supervisione delle agenzie dell’Onu. Per preparare la missione di Salvini – che dovrebbe vedere anche il presidente Sarraj e il generale Haftar – è da tempo attiva la nostra ambasciata a Tripoli, che sta lavorando sul fronte governativo. Al fine di «sottolineare l’importanza del dossier libico per il nuovo governo italiano», l’ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Perrone, ha incontrato matedì il ministro degli Esteri del governo di Accordo nazionale libico, Mohammed Siyala.
L’incontro, dice l’ambasciatore, è servito «per fare il punto sul comune desiderio di rilanciare la cooperazione bilaterale a tutti i livelli compresa la lotta ai traffici illeciti». Domenica, Perrone aveva invece avuto col premier libico Fayez Al Sarraj un colloquio incentrato fra l’altro, parole sue, «sull’emergenza migranti e sulla necessità di fermare il flusso delle partenze atteso con la stagione estiva». Appunto.
A inizio giugno il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha imposto sanzioni nei confronti di quattro cittadini libici e due eritrei per traffico di esseri umani. Ma nessuno crede che bastino le sanzioni per stroncare il traffico. Serve che nasca un governo vero e che nel frattempo il flusso finanziario verso la Libia non si interrompa. Proprio per trovare i fondi, l’Italia nei giorni scorsi ha messo una riserva formale sul bilancio Ue chiedendo alla Commissione garanzie affinché vi siano risorse sufficienti per il Fondo per l’Africa, il recipiente finanziario usato per i progetti comunitari con la Libia. Una mossa alla quale, si fa trapelare, se necessario si potrebbe aggiungere un veto sui tre miliardi per l’accordo Ue-Turchia che coprono il periodo 2018-19.
«Grazie a Dio l’Italia s’é finalmente svegliata, siamo molto contenti della decisione di bloccare i porti dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti» ha detto ieri il portavoce della Marina libica, l’amiraglio Ayob Ghasem. «Adesso – ha aggiunto – vi invitiamo a sostenere la Guardia Costiera libica e levare l’embargo sulle armi».