Roma, 23 dicembre 2024 – “Durante la messa si sentiva costantemente il volo dei droni israeliani che incrociavano sopra la chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. Anche quando il cardinale Pizzaballa ha pronunciato l’omelia, anche durante la liturgia eucaristica, il ronzio dei droni ci ricordava ogni attimo dove eravamo. È dura. Non si può vivere in queste condizioni fisiche e psicologiche, è tempo di fermare questa guerra pazzesca”. Il vescovo Willam Shomali, 74 anni, palestinese, dal 2021 vicario del Patriarcato di Gerusalemme e la Palestina, è testimone del secondo Natale sotto le bombe nella striscia di Gaza.
Che Natale sarà questo, nella Striscia? C’è ancora spazio per la speranza?
“Il popolo di Gaza è stanco, sfiduciato. La vita a Gaza non è più possibile. Le infrastrutture sono distrutte, c’è poco cibo, gli ospedali non funzionano, mancano medicine, molti dottori sono stati uccisi, c’è penuria di elettricità e acqua pulita. Ci sono ovunque drammi difficili da raccontare. Ogni famiglia ha il suo. Dopo 15 mesi di guerra è tempo di firmare una tregua prima della fine dell’anno. Ringraziamo il Signore che abbiamo potuto introdurre in queste ultime settimane un po’ di aiuti, ma è un cucchiaio d’acqua nel deserto. Troppe morti, troppe distruzioni, si è superato ogni limite. È tempo di fare le pace”.
Per questo il Papa ha lanciato l’ennesimo appello a fermare le guerre?
“Ma certo. Tutte le guerre. Ma il Papa soffre particolarmente per questa guerra, è in contatto continuo con padre Gabriel Romanelli, il parroco di Gaza. È informato più di molti politici. La vive con vera partecipazione”.
E parla con franchezza. Ma quel “quante crudeltà”, quel riferimento ai “bambini mitragliati e ai bombardamenti di scuole ed ospedali” che effetto avranno su Israele?
“Noi sappiamo per esperienza che ogni volta che il Papa o altri capi di Stato o di Governo hanno criticato Israele, Tel Aviv ha reagito negativamente. E anche stavolta la reazione non è stata diversa. Ma il Papa fa il suo dovere, come Giovanni Battista. E il suo dovere è oggi invitare caldamente la parte che continua a bombardare a fermarsi. Del resto, gli ebrei hanno criticato Pio XII perché non ha parlato abbastanza della Shoah e questo Papa non vuole che un giorno qualcuno lo possa criticare per aver taciuto. Per questo, davanti a un dramma così grande, parla con forza e chiarezza”.
Perché il Patriarca è tornato a Gaza alla vigilia del Natale?
“Per far capire, come il cardinale Pizzaballa ha detto nell’omelia, che i cristiani di Gaza non saranno mai abbandonati, che la luce di Cristo è con loro. Il Patriarca ha voluto essere a Gaza per celebrare anticipatamente la messa di Natale per i 640 cristiani rimasti nella Striscia, per parlare con i fedeli, è andato anche alla parrocchia ortodossa, e ha portato qualche medicina. Ha detto parole di speranza. Fa tutto quello che può. Ma ora serve una scelta politica di Israele”.
Lei ci crede davvero?
“La nostra speranza è in Dio. Solo Dio può intervenire dopo che tutti gli sforzi umani hanno fallito. Noi abbiamo la fede, dunque questo sarà un Natale di preghiera. Speriamo che Dio ci ascolti. Una cosa dà un filo di speranza: il fatto che il cardinale sia stato stato autorizzato dalle autorità israeliane ad entrare a Gaza per celebrare la messa. Non era automatico, e forse, e dico forse, questo ci fa intuire che la speranza di una tregua non è del tutto campata in aria. Almeno, ce lo auguriamo”.