Roma, 21 febbraio 2025 – Giorgia Meloni pronuncerà stasera il discorso di politica estera più difficile del suo mandato. Collegandosi con il congresso dei repubblicani americani, alla presenza di Donald Trump che parlerà dopo di lei, dovrà al tempo stesso rinnovare il suo pieno impegno a favore dell’Ucraina, che l’ha accreditata presso la comunità internazionale per non aver mutato atteggiamento passando dall’opposizione al governo. Evitare per quanto possibile che l’Europa si disgreghi (come sta facendo) in tante posizioni diverse. E mantenere aperto il canale privilegiato che ha aperto con Trump.
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Il presidente americano non le facilita il compito. Ha chiesto brutalmente a Zelensky il 50 per cento delle terre rare che si trovano in Ucraina per pagarsi gli aiuti Usa. Il Paese, oltre ad avere il 10 per cento delle riserve mondiali di ferro, il 20 di grafite, il 6 di titanio, ha mezzo miliardo di tonnellate di litio, indispensabile per le batterie delle auto elettriche. E ancora giacimenti preziosi di manganese, uranio, nichel, cobalto, cromo e un’infinità di altri materiali preziosi, tra cui oro e gas. Trump è stato prepotente nella richiesta, Zelensky troppo frettoloso nel chiudere a ogni trattativa. Che invece dovrà esserci, anche perché molti giacimenti si trovano nel Donbass, territorio invaso nel 2014 che con certezza resterà alla Russia.
L’amara realtà è che Trump detesta Zelensky e soprattutto ama Putin. Vuole far fuori il primo chiedendo che l’accordo definitivo avvenga dopo elezioni che vedrebbero vincitore il generale Zaluzhny, amatissimo capo dell’esercito che respinse l’attacco russo di tre anni fa e che per dissensi con Zelensky oggi è ambasciatore a Londra. E sta facendo accordi segreti con il secondo, che vuole dalla sua parte nel conflitto (per ora solo virtuale) con la Cina. Buona norma sarebbe non fare le elezioni in tempo di guerra: ce lo insegna Winston Churchill, che peraltro nel ’45 le perse, folgorante dimostrazione dell’ingratitudine umana (come forse accadrà per Zelensky).
Ogni trattativa, compresa quella sulle terre rare, è comunque vincolata alla futura sicurezza dell’Ucraina. Se non si vuole che il Paese entri nella Nato, sarà necessario attivare gli articoli 4 e 5 della Carta che regola l’Alleanza atlantica. L’articolo 4 prevede una consultazione tra i membri in una situazione di emergenza. Dopo l’invasione russa del ’22 è stato invocato da sette Paesi vicini. L’articolo 5 prevede che l’attacco contro un membro dell’Alleanza si intende fatto contro tutti che devono perciò unirsi nella risposta armata. (Fu invocato dagli Stati Uniti dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001). Anche se l’Ucraina non è membro della Nato, a sua garanzia potrebbe essere attivato l’articolo 5 per proteggerla da eventuali nuovi attacchi russi. Questa posizione è sostenuta, tra l’altro, dall’Italia contraria a inviare propri soldati all’interno del territorio ucraino, come intendono fare inglesi e francesi. A parte la modesta efficacia di alcune decine di migliaia di militari dinanzi a un esercito di centinaia di migliaia, che cosa accadrebbe se soldati francesi e inglesi morissero in battaglia?
Meloni non vuole abbandonare l’Ucraina a se stessa come fecero gli americani (Biden) il 31 agosto 2021 lasciando disordinatamente Kabul in mano ai talebani.
Una pace “giusta” è ormai impossibile, visto che dovrebbe prevedere il ritiro totale dei russi. Ma si può esigere una pace sostenibile – cioè dignitosa per il popolo ucraino vittima di una spaventosa aggressione – e soprattutto durevole, garantita anche militarmente dall’Occidente.