Roma, 18 gennaio 2024 – “Diciamolo chiaramente, la stabilità della regione è appesa a un filo, perché sebbene nessuno voglia l’escalation, né Israele né l’Iran né tantomeno Stati Uniti ed Unione europea, poi di fatto, rispondendo alle minacce degli altri, o alle percepite minacce degli altri, una pluralità di attori fa passi che rischiano di far precipitare il Medio Oriente in un conflitto regionale ben più ampio dalla guerra di Gaza. È come un domino, e noi ci siamo piuttosto vicini". È preoccupato Arturo Varvelli, capo dell’ufficio romano e Senior Policy Fellow for the European Council on Foreign Relations (Ecfr).
Gli ultimi gesti incendiari sono stati gli attacchi dell’Iran in Iraq, Siria e Pakistan. Dobbiamo forse attenderci anche un coinvolgimento diretto di Teheran in crisi come quella yemenita o al fianco di Hezbollah contro Israele?
"Teheran è stata molto attenta ad attuare una risposta limitata e controllata, volta a colpire i gruppi terroristici che ritiene responsabili della strage di Kerman o, in Iraq, ambienti molto legati al Mossad, ma evitando, sempre in Iraq, le basi americane. Questo implica ancora una volta che Teheran non voglia scendere in guerra contro Israele o gli Stati Uniti, anche se vuole far percepire la capacità di colpire i suoi nemici. Ma è un fatto che sono stati coinvolti Paesi come il Pakistan, potenza nucleare, anche se l’Iran ha subito chiarito che in quel Paese aveva colpito solo dei terroristi che lì si nascondevano. La situazione è preoccupante e si aggiunge a quanto sta facendo in Yemen un proxy di Teheran, gli Houthi".
Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha detto che gli Houthi “non ricevono alcun ordine o istruzione” da Teheran.
"Tecnicamente può anche aver ragione, ma sostanzialmente è l’Iran, e non altri, che ha armato gli Houthi con missili e droni e li ha usati in chiave anti-saudita e anti-emiratina. Ragionevolmente, Teheran ha molta influenza su di loro".
L’accordo di pace in Yemen frutto della normalizzazione dei rapporti tra Iran ed Arabia Saudita, rischia di saltare?
"È a forte rischio. Credo che gli Houthi stiano utilizzano strumentalmente la questione palestinese per rimettere in discussione, a ulteriore loro vantaggio, l’accordo di pace con l’Arabia Saudita".
È utile e intelligente la missione navale europea nel mar Rosso?
"Io penso che sia utile. Perché noi europei non possiamo sempre stare alla porta e perché le conseguenze di questa instabilità, anche solo il maggiore prezzo delle merci che arrivano da quell’area, ricadranno su di noi. Certo avremmo potuto fare di più, soprattutto con la nostra potenza economica, con progetti di piani di investimenti infrastrutturali come il corridoio che doveva unire India, Paesi del Golfo ed Europa, o il Global Gateway verso l’Africa e se vogliamo anche il piano Mattei. E quando la tensione scenderà, è in quella direzione che dovremmo operare".
E da dove sarebbe bene iniziare a lavorare per ridurre la tensione ed evitare il rischio che si arrivi ad una escalation?
"Da Gaza. Esattamente da dove tutto è cominciato. Mi pare evidente che l’appoggio incondizionato che è stato dato dagli Stati Uniti ad Israele non ci sta portando molto lontano. Israele pensa di ottenere garanzie per la propria sicurezza distruggendo Hamas, e a breve magari le avrà anche, ma rischia di incendiare l’area per decenni. Se l’amministrazione Biden sta mandando sottobanco dei messaggi di moderazione ad Israele mi pare che stia avendo pochi risultati e quindi servirebbe un assetto più assertivo da Washington che porti Israele a ragionare. Certo la posizione di Hamas contraria ai due Stati, ribadita ieri, non aiuta per nulla a trovare spazi negoziali".
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