Roma, 10 marzo 2025 – In Siria torna a profilarsi la minaccia di una ripresa della guerra civile dopo che negli ultimi giorni miliziani legati al nuovo regime di Ahmed al Shara (Abu Mohammed al Jolani) hanno mietuto centinaia di vittime fra la popolazione alawita che in passato aveva sostenuto il regime di Bashar Assad. Dopo alcuni mesi contraddistinti da una precaria stabilità – mentre al-Shara preannunciava in casa e all’opinione pubblica internazionale una “nuova Siria“ di pacifica coabitazione fra le diverse etnie – adesso dalle località costiere di Tartus e Latakya sono giunte invece immagini di case di alawiti date alle fiamme, di esecuzioni sommarie "in stile Isis", di saccheggi, rapine e violenze gratuite compiute non solo da siriani, ma anche – almeno in apparenza – da combattenti stranieri, fra cui afghani con divise islamiche. Sono comparse immagini anche di cadaveri sparsi nelle strade. Uno dei filmati mostra un veicolo mentre travolge un passante e poi torna a investirlo più volte.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (che ha sede a Londra) in questa ondata di violenze – che peraltro coincide con l’inizio del Ramadan – sono rimasti uccisi almeno 830 civili, in prevalenza alawiti. A essi vanno aggiunti oltre 200 miliziani fedeli al nuovo regime. Ieri al-Shara (che si è formato per anni in organizzazioni votate alla Jihad) si è recato in una moschea nel rione al-Mazzeh di Damasco e ha sostenuto che quanto avvenuto era "prevedibile": allusione al rancore che ancora serpeggia in Siria verso chi sosteneva il passato regime. "Noi – ha aggiunto – dobbiamo difendere l’unità nazionale e la coesistenza fra i cittadini, nei limiti del possibile. Siamo capaci di vivere assieme in questo Paese". In seguito ha anche annunciato la costituzione di una Commissione di inchiesta per far luce sulla dinamica dei cruenti incidenti degli ultimi giorni.
L’inquietudine serpeggia non solo fra gli alawiti (un decimo circa della popolazione siriana complessiva), ma anche fra i cristiani, che pure hanno una presenza tangibile nelle aree investite dai disordini. "Occorre che al-Shara metta fine ai massacri" ha esclamato nel suo sermone domenicale il patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Giovanni X. "Le zone colpite erano abitate sia da alawiti sia da cristiani. Numerosi cristiani innocenti sono stati uccisi". Le informazioni giunte dalla Siria hanno destato preoccupazione anche in papa Francesco che ha fatto appello affinché siano rispettate "tutte le componenti etniche e religiose della società, specialmente i civili".
Fra quanti seguono con crescente apprensione questi sviluppi vi è Israele, che con la caduta del regime di Assad ha trovato opportuno occupare preventivamente un’area cuscinetto della Siria meridionale, profonda fino a 15 chilometri al di là delle alture del Golan. Ieri vi ha compiuto una ispezione il nuovo capo di Stato Maggiore, generale Eyal Zamir. Il premier Benjamin Netanyahu ha inoltre porto una mano alla minoranza drusa della Siria meridionale offrendole la possibilità di entrare a lavorare nelle alture del Golan. Israele ha anche polemizzato con quei dirigenti occidentali che nei mesi scorsi si erano recati a Damasco accreditando così "un regime composto da jihadisti, che adesso solo indossano abiti nuovi".
Di recente al-Shara ha compiuto importanti missioni diplomatiche in Arabia Saudita e in Egitto. Ieri ha constatato che, malgrado i massacri, il suo status nella regione resta saldo. I ministri degli Esteri di Giordania, Iraq, Libano e Turchia gli hanno infatti confermato la fiducia nel suo regime, sottolineando che la stabilità in Siria contribuisce a quella dei loro Paesi. Di conseguenza, hanno aggiunto, "adesso devono essere rimosse le sanzioni imposte a Damasco in passato".