Sabato 23 Novembre 2024
LORENZO BIANCHI
Esteri

I marò e i proiettili della morte. "Usati dai militari dello Sri Lanka"

Di Stefano, il perito di Ustica: calibri troppo grossi per le nostre armi

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (Ansa)

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (Ansa)

Roma, 13 settembre 2015 - "IN QUELL’AREA i pirati somali e la guardia costiera dello Sri Lanka usano proiettili come quello trovato nel capo del timoniere del Saint Antony, Valentine Jelestine». Non esita un attimo Luigi Di Stefano, 63 anni, romano, consulente per l’Itavia nella lunga inchiesta sull’aereo abbattuto nel cielo di Ustica e perito giudiziario per la Procura di Ancona nel 2005, di professione ingegnere ambientale. Sul suo sito on line Seeinside ha condotto una controinchiesta sulla vicenda nella quale sono stati coinvolti Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Nei giorni scorsi è riuscito a farsi mandare gli atti indiani depositati ad Amburgo alla cancelleria del Tribunale internazionale per il diritto del mare.

Quale arma spara una pallottola di quelle dimensioni? "È una cartuccia calibro 7 e 62 x 54 R, molto diffusa in quell’area. È il proiettile dei mitra usati dai pirati della Somalia e dalla guardia costiera dello Sri Lanka sugli Arrow Boat. Gli italiani non hanno armi in grado di sparare pallottole così grosse".

Da sempre nello stretto di Palk gli uomini della Guardia costiera delo Sri Lanka combattono lo sconfinamento dei pescatori indiani nelle loro acque territoriali. "C’è perfino un sito on line il cui titolo è ‘Salvate i pescatori del Tamil Nadu’ (lo stato dell’India che si affaccia sullo stretto di Palk, ndr). Il suo censimento delle vittime è arrivato a 400 nomi".

Lei sta facendo questo lavoro certosino senza ricevere nessuna ricompensa? "Certo. Fu così anche nel caso dell’Itavia. In questo modo si riesce a tutelare una totale libertà di giudizio".

Scusi, ma lei di che campa? "Del mio lavoro. Sono un tecnico del trattamento delle acque, di impianti fotovoltaici e di biomasse".

È abituato ai muri di gomma? "Fino ad ora avevo lavorato sulle fonti aperte. Ora invece posso esaminare documenti che sono entrati nel processo. Cambia tutto".

Qual è l’atto più clamoroso? "L’autopsia del professor Sasikala sul corpo del timoniere. Poi si scopre che il 16 febbraio di fianco alla Enrica Lexie attraccata al porto di Kochi vengono portati un falso Saint Antony e la nave della Guarda Costiera indiana Samar per organizzare riprese ad uso e consumo della comunicazione e dell’accusa".

Ha trovato molte porte chiuse? "La più sorprendente è quella dell’autorità giudiziaria italiana. Per due volte ho chiesto i dati radar della Enrica Lexie. Diciamo che fra Ustica e la perizia per i giudici di Ancona ho accumulato una notevole esperienza. Mi hanno risposto che non sono legittimato ad averli perché non sono una parte in causa".

Perché non ha utilizzato il database Ais che registra le rotte delle navi di tutto il mondo? "Fra lo Sri Lanka e Mumbai il mare è infestato dai pirati. Le navi di solito in quel tratto di Oceano spengono gli apparati per non essere facilmente localizzate dai malintenzionati".