Roma, 31 dicembre 2024 – “Prima di tutto bisogna dire che questo caso non avrebbe mai dovuto finire sui giornali. Perché questo ha ridotto in modo sensibile le capacità di movimento della nostra intelligence. Perché i servizi si muovono bene quando possono lavorare con le loro modalità”. Andrea Margelletti, fondatore e presidente del Centro Studi Internazionali di Roma (Cesi), spiega che “l’attenzione mediatica ha solo danneggiato Cecilia Sala e su questo dobbiamo essere chiari”.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha dichiarato che “i nostri servizi di intelligence sono in continuo contatto con Teheran per ottenere una spiegazione”. Come agiranno in concreto?
“C’è un arresto in corso e quindi un problema diplomatico politico. Immaginare che si risolva in tre giorni è fantascienza. I tempi non sono dettati dalla volontà di riavere a casa Cecilia, che è una mia amica. Ma da altre vicende, che possono essere parallele e magari non legate direttamente. La nostra intelligence avrebbe lavorato meglio se di Cecilia non si fosse occupato nessuno a parte il governo. E bisogna rendersi conto che in una situazione in cui l’Iran si sente sotto attacco. Va quindi detto anche che essere andati a Teheran in questa fase storica non è stato prudente. Ciò detto, la nostra Aise avrà molto da fare a muoversi nella zona della diplomazia coperta. E siccome l’unica cosa che conta è l’incolumità di Cecilia Sala, rendere pubblica la vicenda l’ha danneggiata”.
Nella storia recente si ricordano il caso della giurista australiana Kylie Moore Gilbert, dell’olandese Johann Floderus e del belga Olivier Vandecasteele.
“Sì, ma tutto dipende da nazione a nazione. Il rapporto tra l’Italia e l’Iran è diverso da quello con gli Usa e la Francia. Tra Roma e Teheran sono sempre stati molto buoni e c’è una lunga tradizione di dialogo, da sempre: fin dai tempi dello Scià. Su questo rapporto si innesta il dialogo per la liberazione di Cecilia”.
E questi rapporti storicamente buoni possono diventare fruttuosi per la liberazione di Sala?
“Sì, ma rendendosi conto che i tempi sono diversi da quelli dei desideri e che alzare un polverone sulla libertà di stampa oggi non solo non serve, ma indispone l’interlocutore. Gli iraniani possono non piacere, ma ritengono di avere ragione. Definirli come dei mascalzoni o dei terroristi non aiuta il dialogo. Se rompiamo le relazioni diplomatiche in rappresaglia, come suggerisce qualcuno, ci dimentichiamo di Sala per sempre”.
L’Italia oggi però si trova tra due fuochi. Ci sono anche gli Usa.
“Secondo me no. I rapporti che regolano il governo italiano e i cittadini in difficoltà sono avulsi da altre dinamiche. Non esiste che ci possano essere influenze da parte di chicchessia in un’operazione di liberazione di un ostaggio italiano. E anche se qualcuno volesse fare ingerenza, troverebbe le orecchie chiuse. Per questo è stata una disgrazia che qualcuno abbia rivelato l’arresto di Cecilia. Perché ci sono dinamiche che possono essere apparentemente lontane da quello che conosciamo, ma che invece sono collegate”.
Lei ha detto a proposito dei fronti del Medio Oriente e ucraino che non dovremmo preoccuparci, dovremmo essere terrorizzati dal rischio di una guerra globale. Questo è uno degli episodi di questa guerra?
“Direi di no. È più un “toccarsi” tra Stati. Non è il rapimento di un gruppo di jihadisti o di criminali. E sul tema del rapimento degli italiani io ho una certa competenza. In ogni caso vorrei ribadire che i servizi funzionano meglio nella discrezione. Le luci della ribalta non aiutano nessuno. Né a Sala né ai funzionari dell’intelligence che lavorano per riportarla a casa. L’Aise ha una storia di successi da questo punto di vista. Da genovese, scommetto che anche stavolta andrà bene”.