Roma, 19 gennaio 2024 – “Il conflitto si sta espandendo e abbraccia ormai non solo attori mediorientali ma anche asiatici e potenze occidentali. L’allargamento è in pieno atto e c’è il rischio che le metastasi non finiranno qui, penso alla regione del Caucaso, ma non solo, dove si potranno riaccendere conflitti latenti. Una cosa è certa. Non basterà porre fine alla guerra a Gaza, fine che ancora non si intravede minimamente, per risorvere i focolai di crisi. Per spegnere l’instabilità in Medio Oriente allargato bisognerà fare una cosa ben più complessa: risolvere la questione palestinese attraverso una soluzione politica che coinvolga le potenze regionali e gli Stati Uniti. È l’unico modo". Così l’analista Maria Luisa Fantappié, responsabile del Programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto affari internazionali, attualmente affiliata alla London School of Economics, Middle East Centre.
Quale è l’agenda dei principali attori regionali? Cosa vuole l’Iran, come leggere il suo attacco in Kurdistan iracheno e Siria e poi al Pakistan, ricambiato con un contro-strike?
"L’attacco al Pakistan è un evento eccezionale, ma marca una nuova fase dell’allargamento del conflitto. Dal 7 ottobre sino a questi strike l’Iran aveva sempre tenuto una posizione prudente, dichiarando che non voleva una escalation. L’attacco terroristico subito a Kerman l’8 gennaio ha segnato per Teheran un segno di svolta e l’attacco al Pakistan va letto, assieme a quelli in Iraq e Siria, come la volontà di lanciare un monito agli avversari e di fare una prova di forza, iniziando una nuova fase del conflitto nella quale l’Iran non si farà problemi a colpire anche a lungo raggio se ne ravviserà la esigenza. Ha voluto riaffermare la sua capacità di deterrenza".
Fino ad Israele?
"Teheran, anche perchè Israele è una potenza nucleare, non vuole né ha mai voluto un confronto diretto con Israele, che pure resta il grande nemico ideologico, ma continuerà a muovere i suoi proxy, Hezbollah in Libano e Houthi in Yemen, per colpire gli interessi di Israele e dell’Occidente. Iran e Israele continueranno ad affrontarsi per interposta persona, in luoghi terzi. Ma attenzione, l’Iran agirà d’ora in poi contro i Paesi vicini, Israele escluso, non più solo tramite i suoi proxy, o con gruppi non statuali, ma anche direttamente".
L’instabilità in Mar Rosso mette a rischio la tregua nel conflitto tra Houthi e Arabia Saudita?
"È una eventualità anche se dopo la normalizzazione tra Iran e Arabia Saudita le pressioni perchè la tregua regga ci saranno. Ma con gli attacchi angloamericani allo Yemen, la priorità di Teheran sarà sostenere gli Houthi, che sono sì un attore autonomo che ha una sua agenda, ma anche un suo proxy. E dopo il 7 ottobre attori come gli Houthi, saranno sempre più proxy dell’Iran".
Come valuta la strategia occidentale?
"La diplomazia americana non ha prodotto risultati, neppure nella pressione su Israele, e la presenza di asset militari non ha impedito un allargamento del conflitto. La strategia di Washington non funziona. Quanto a quella europea, semplicemente non esiste. C’è quella degli Stati membri, non univoca".
Quanto pesa nelle tensioni il confronto tra sciiti e sunniti?
"Le appartenenze comunitarie esistono, restano, ma siamo in un momento storico nel quale la pragmaticità degli interessi strategici è quella che detta le azioni. Che sono mosse dalla volontà di risolvere gli equilibri di potere nella regione, in particolare tra Iran e Israele. E fino a che questa non sarà risolta, trovando una sintesi sulla questione palestinese, la regione resterà instabile".