di Aldo BaquisTEL AVIVDopo 15 mesi, per Karina, Daniela, Naama e Liri il dramma è finito. Ieri, nel giro di un’ora dai toni drammatici e spettacolari, le quattro soldate israeliane catturate il 7 ottobre dalla base di Nahal Oz, a ridosso della Striscia di Gaza, sono passate dalla custodia dei miliziani di Hamas incappucciati e armati fino ai denti alle braccia dei genitori, in trepida attesa a un valico di confine. Per l’occasione, Hamas ha organizzato una regia minuziosa, nell’intento di chiarire agli israeliani che resta saldamente il padrone di Gaza e ai palestinesi che rappresenta non una singola fazione politica, bensì la punta di diamante della causa nazionale.
Nell’automobile che le conduceva al punto di consegna della Croce Rossa, i miliziani hanno dato alle prigioniere un “certificato di liberazione” in arabo e in ebraico firmato dal “Comando delle Brigate Qassam”, un portachiavi con la bandiera palestinese e una confezione regalo avvolta nel cellophane, con un nastro rosa. Scese dall’auto, le ragazze, tutte ventenni, si sono trovate in una piazza del rione Rimal di Gaza City, gremita di miliziani schierati in assetto di guerra e di una folla di curiosi. Sulla facciata dell’edificio principale era esposta la bandiera nazionale palestinese e su un palco allestito per loro era scritto, in ebraico: "Il sionismo non vincerà". La regia dell’evento mirava a creare l’immagine di uno scambio di prigionieri fra due entità nazionali. Non a caso Karina, Daniela, Naama e Liri sono state esposte alla folla con una divisa verde-oliva. Prima del commiato, alle telecamere di Hamas hanno anche pronunciato alcune parole di saluto in arabo: "Shukran, Ketaeb…", ovvero "Grazie, Brigate". "Un’operazione condotta in modo cinico", ha poi commentato con indignazione il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari.
Dal giorno della loro cattura non si avevano notizie sulle loro condizioni fisiche. Ieri, quando sono apparse in pubblico sorridenti e agili, per gli israeliani è stato un momento di grande sollievo. Le ambulanze predisposte a breve distanza sono rimaste inutilizzate. Le quattro, assieme ai genitori, sono state trasferite in elicottero in un ospedale di Tel Aviv, dove i primi esami del sangue sono risultati soddisfacenti. Trascorreranno lì i primi giorni di libertà, durante i quali saranno sottoposte a esami più approfonditi. Fra questi – ma solo se ritenuto necessario – quelli della “Stanza 4”, per indagare su possibili abusi.
Per ogni soldata, Israele ha dovuto rilasciare 50 palestinesi condannati a lunghi periodi di detenzione per episodi di lotta armata e attentati terroristici. Dunque, duecento in totale, 70 dei quali (tutti ergastolani) sono stati condotti al valico di ingresso in Egitto. Tornano liberi, ma resteranno in esilio fra Qatar, Turchia e Algeria. Gli altri sono tornati in Cisgiordania e a Gaza.
Anche in questa occasione, Israele e Hamas si sono accusati di aver infranto gli accordi. Israele insiste per la liberazione di Arbel Yehud, una donna di 29 anni prigioniera della Jihad Islamica. Hamas ha assicurato che è viva e sarà libera fra una settimana. In ritorsione, Israele non ha aperto, come in programma, la strada costiera di Gaza, da dove masse di palestinesi contavano ieri di passare per raggiungere il nord. Ci sono state scene di confusione. Per allontanare la folla, l’esercito ha sparato e un palestinese è stato colpito a morte. A Jenin, in Cisgiordania, una bimba palestinese di due anni è rimasta uccisa durante un raid dell’esercito israeliano. Intanto, Tel Aviv attende di ricevere da Hamas la lista di quanti, fra i 33 ostaggi da liberare sono ancora in vita. Sono ore di massima tensione per la famiglia Bibas: per la madre Shiri e i due figlioletti Kfir e Ariel “proviamo una grande preoccupazione”, ha confermato il portavoce militare Hagari.