Domenica 22 Dicembre 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

L’Iran minaccia Israele: "Vendicheremo Haniyeh". E la tregua a Gaza resta un miraggio

Dopo lo scontro con Hezbollah, lo Stato ebraico nel mirino di Teheran. Provocazione del ministro Gvir: "Una sinagoga sul monte del Tempio". Continua il pressing americano per il cessate il fuoco, ma le parti sono distanti

Tel Aviv, 27 agosto 2024 – All’indomani dell’intensa giornata di guerra con gli Hezbollah Israele ha subito avuto conferma che non può abbassare la guardia nemmeno per un istante e che nuove minacce incombono da più parti sul Paese. Mentre al Cairo i negoziati per una tregua a Gaza continuano a languire, parole minacciose sono giunte da Teheran che ha voluto complimentarsi con l’esercito di Hassan Nasrallah per il suo attacco di ritorsione in seguito alla eliminazione al suo capo militare Fuad Shukr. Adesso, ha avvertito il capo di Stato maggiore dell’Iran Mohammed Bagheri sarà la volta della ritorsione per l’uccisione – un mese fa a Teheran – del leader di Hamas Ismail Haniyeh, che l’Iran attribuisce ad Israele. "Avverrà di sicuro – ha avvertito –. Prenderemo misure in questo proposito, indipendentemente dai gruppi della resistenza: ciascuno opererà secondo le proprie possibilità e secondo i propri progetti". Fra questi gruppi, gli Houthi yemeniti.

Attacco israeliano in Libano
Attacco israeliano in Libano

L’intervento di Bagheri è giunto mentre nel comando della regione nord di Israele, a pochi chilometri dal Libano, erano impegnati in un sopralluogo il capo dello Stato maggiore Usa Charles Brown, assieme col ministro della Difesa Yoav Gallant. “Le attività aggressive dell’Iran – ha osservato Gallant – hanno raggiunto un culmine senza precedenti, e con esse i suoi tentativi di dotarsi di capacità nucleari". Israele ed Usa – ha aggiunto – devono tenersi pronti in ogni momento ad adempiere al loro impegno comune di bloccare i progetti nucleari dell’Iran. Israele è comunque grato agli Usa che dall’ottobre 2023 hanno inoltrato alle proprie forze armate "50 mila tonnellate di armamenti e di attrezzature militari".

Ma mentre Gallant esaltava la grande sintonia strategica con Washington il più imprevedibile dei ministri israeliani, il leader del partito ‘Potere ebraico’ Itamar Ben Gvir, diceva in un’intervista radio che lo status quo sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme (il ‘Monte del Tempio’, per gli ebrei) non vieta affatto lo svolgimento di preghiere ebraiche. Fosse solo per lui, ha aggiunto, non esiterebbe ad issarvi la bandiera di Israele. "Vorrebbe magari costruirvi una sinagoga?", gli è stato chiesto. "Sì, sì, sì", ha risposto il ministro per la sicurezza nazionale del governo Netanyahu.

Nel giro di minuti reazioni adirate sono giunte da Hamas (che ha chiesto al mondo islamico di mobilitarsi), dalla Autorità nazionale palestinese e anche dalla Giordania, che è garante delle gestione dei Luoghi santi islamici nella Spianata. "Ben Gvir mette in pericolo gli accordi di pace con Amman!" ha esclamato l’ex ministra degli esteri Tzipi Livni. E Gallant lo ha accusato di pregiudicare in modo irresponsabile gli interessi nazionali di Israele. Netanyahu si è poi dissociato da Ben Gvir con un laconico comunicato di sette parole.

Malgrado le grandi difficoltà la diplomazia Usa cerca in tutti i modi di portare avanti le trattative su Gaza e sugli ostaggi israeliani, anche per disinnescare la ‘miccia Iran’ evocata dal generale Bagheri. Nei colloqui al Cairo è emerso che le posizioni di fondo di Israele e Hamas restano inconciliabili. Di conseguenza la diplomazia affronta adesso altre questioni pur importanti, ma laterali. Vengono compilate liste dettagliate dei prigionieri palestinesi che Israele potrebbe liberare, e anche quelle dei primi ostaggi che recupererebbero la libertà. Si discute inoltre di un trasferimento per cure all’estero di miliziani di Hamas feriti in guerra. Ma le probabilità di un accordo restano basse, hanno stimato i negoziatori israeliani al loro ritorno a Tel Aviv.