Roma, 28 dicembre 2024 – Rinchiusa da nove giorni in una cella di isolamento nel carcere di Evin. Ovvero nella struttura in cui il regime iraniano segrega dissidenti politici e cittadini stranieri. A volte senza nemmeno formalizzare accuse precise nei loro confronti. Cecilia Sala, giornalista del Foglio e podcaster per Chora Media è stata arrestata il 19 dicembre scorso dalle autorità di polizia di Teheran. Il giorno dopo sarebbe dovuta ripartire per Roma. Sala era in Iran dal 12 dicembre con regolare visto di lavoro giornalistico valido per una settimana. Ha inviato le corrispondenze per la sua serie "Stories" di Chora Media apparentemente senza alcun problema di censura.
L’arresto
Dalla mattina del 19 dicembre ha cominciato a non rispondere alle telefonate dall’Italia. Il giornalista del Post Daniele Raineri, compagno di Sala, e Chora Media hanno allertato l’unità di crisi della Farnesina. Il giorno dopo Sala ha telefonato alla madre per dirle di essere stata arrestata, senza poter aggiungere nulla. Poi ha sentito Raineri, a cui ha spiegato di stare bene ma ha chiesto di accelerare il più possibile le procedure per liberarla. Ieri l’ambasciatrice d’Italia Paola Amadei ha effettuato una visita consolare "per verificare le condizioni e lo stato di detenzione" della giornalista: "Su disposizione del ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, l’ambasciata e il consolato d’Italia a Teheran stanno seguendo il caso con la massima attenzione sin dal suo inizio. In coordinamento con la presidenza del Consiglio, la Farnesina ha lavorato con le autorità iraniane per chiarire la situazione legale di Sala. La famiglia è stata informata dai risultati della visita".
Il lavoro
Chora Media, fondata da Guido Brera nel 2020 e guidata da Mario Calabresi, ha ricostruito sul suo sito i giorni dell’arresto: Sala aveva realizzato interviste e contenuti per tre puntate del suo podcast, poi era sparita. "Conoscendo Cecilia, che ha sempre mandato gli audio per le puntate del podcast con estrema puntualità anche dai luoghi e nei momenti più difficili, ci siamo preoccupati e, insieme al suo compagno – il giornalista del Post Daniele Raineri – abbiamo allertato l’Unita di Crisi del Ministero degli Esteri. Abbiamo chiamato i suoi contatti iraniani, ma nessuno sapeva dove fosse finita". Da quel momento "è cominciata l’attività delle autorità italiane, in cui riponiamo tutta la nostra fiducia e con cui siamo in costante contatto, per capire cosa sia successo e per riportarla a casa". Le accuse nei confronti della giornalista al momento non sono ancora state formalizzate.
Il carcere di Evin
Evin, situato a nord di Teheran, è stato costruito nel 1972 durante il regime dello Shah. Concepito inizialmente per i detenuti politici, dopo al Rivoluzione Islamica di Khomeini è diventato il luogo preferito per incarcerare dissidenti, attivisti e membri di minoranze religiose. Le Ong stimano che siano 15mila attualmente i detenuti in condizioni di sovraffollamento e con carenze igienico-sanitarie. Amnesty International ha denunciato l’uso sistematico della tortura, le esecuzioni sommarie e il mancato accesso alle cure mediche per i detenuti. Alessia Piperno, la travel-blogger arrestata in Iran nel 2022 e poi rilasciata dopo 45 giorni, ha detto che nel carcere "a noi stranieri fisicamente non torcono un capello, ma mentalmente ti provano molto. So cosa vuol dire il terrore di stare in una cella da soli".