Roma, 4 gennaio 2025 – Ancora nessuna schiarita. Né sul destino di Cecilia Sala, la 29enne giornalista italiana detenuta a Teheran nel carcere di Evin senza capi d’accusa plausibili. Né sulla posizione del 38enne ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato dall’Italia su richiesta del Dipartimento di giustizia americano per presunte complicità terroristiche come super esperto di droni. I due casi, pur totalmente distinti in ambito penale, sono ormai platealmente intrecciati sul piano diplomatico e politico.
L’Italia lavora per liberare la freelance romana. Tentando ed esplorando ogni azione (ad ogni livello). Mentre sotto traccia prosegue il lavoro dell’intelligence, sul piano pubblico risalta l’incontro, ieri mattina a Teheran, tra la nostra ambasciatrice Paola Amadei e Majid Nili Ahmadabadi, direttore generale per l’Europa del ministero degli Esteri iraniano. Scontata la richiesta italiana: rilascio immediato della giornalista, accesso consolare al carcere, e, in attesa della liberazione, consegna dei generi di conforto e di prima necessità mai recapitati in cella. Beffarda la risposta iraniana: l’arresto di Abedini su mandato Usa “è un atto illegale che danneggia i rapporti” tra Roma e Teheran. Secondo il consiglio interessato del diplomatico iraniano, “Roma rigetti la politica sugli ostaggi degli Stati Uniti e crei le condizioni per il rilascio”.
Sala-Abedini
Resta evidente la differenza di trattamento. Mentre a Evin (che per gli iraniani è sinonimo di inferno) Sala dorme sul pavimento con due coperte per giaciglio, privata persino degli occhiali da vista e in condizioni afflittive, Abedini, in carcere a Opera, può ricevere le visite del proprio legale Alfredo De Francesco ed esercitare ogni diritto connesso alla difesa.
L’ingegnere braccato dalla giustizia americana ribadisce la preoccupazione per la propria famiglia e chiede informazioni sulla sorte di Sala. Domanda che il nome venga scritto su un foglio e poi usa queste testuali parole: “Pregherò per me e per lei”. Abedini, “commosso e incredulo”, ora spera nella concessione dei domiciliari nonostante il “no” della procura, facilmente pronosticabile dopo l’evasione nel marzo 2023 del ricercato russo Artem Uss (altro caso critico tra Italia e Stati Uniti).
Il silenzio stampa
“Mai lavorato con i terroristi, sono un tecnico”, ripete l’ingegnere cui vengono concesse più videochiamate a casa.
Parallelamente, il “fate presto” scandito di Cecilia nell’ultimo colloquio telefonico è già il mantra per l’unità di crisi italiana. La famiglia ringrazia il governo per la mobilitazione e i media per la solidarietà, ma poi chiede “il silenzio stampa”, perché “la fase a cui siamo arrivati è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione”. I Radicali accolgono l’appello e sconvocano la manifestazione del 6 gennaio davanti all’ambasciata iraniana.
Gli scenari
A meno di accelerazioni, l’impressione generale è che non ci possa essere alcuna svolta prima di metà mese. Occhio alle date: dal 9 al 12 gennaio Joe Biden, al passo d’addio, verrà in visita ufficiale a Roma e in Vaticano; il 14 gennaio si riunirà il Copasir; il 15 gennaio la Corte d’Appello di Milano risponderà alla richiesta di domiciliari di Abedini (caldeggiata da Teheran); il 20 gennaio Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca. In quest’ultima finestra temporale, prescindendo dalle decisioni della Corte, il governo ha più di un jolly per sbloccare la situazione senza entrare nel merito delle accuse provenienti dal Massachusetts (peraltro fragili in ambito Ue). In ipotesi estrema, se la pressione diplomatica fallisse, la carta risolutiva è la scarcerazione del recluso a fini estradittivi (sempre nella disponibilità del Guardasigilli Carlo Nordio). Oppure l’espulsione in cambio della liberazione di Cecilia Sala. In fondo anche gli Stati Uniti fanno scambi di prigionieri quando la ragion di Stato lo consiglia. Il trafficante d’armi russo Viktor Bout (rimandato in Russia da Vladimir Putin) contro la cestista Brittney Griner (riportata a casa dopo una condanna per droga) è l’ultimo caso celebre, a dicembre 2022.