Venerdì 22 Novembre 2024
BEPPE BONI
Esteri

Attacco a Unifil, allarme massimo al quartier generale. Idf: “Le forze Onu si spostino”

Libano, la fuga dei civili dall’inferno: “Finite anche le medicine”. Ma c’è chi resta per il timore di perdere la casa

Roma, 12 ottobre 2024 – Voci e scene dall’inferno Libano. I tank ondeggiano lentamente come pachidermi minacciosi intorno all’area paradossalmente definita di peacekeeping, la Blue line, nel sud ovest del Libano, verso la costa. I micidiali Merkava, prodotti in Israele e in dotazione al corpo corazzato scrutano l’orizzonte a 360 gradi, girano e rigirano la bocca da fuoco simile a quella che l’altro giorno ha centrato le basi Unifil. E ieri è andato in scena il replay. Lo racconta Andrea Tenenti, portavoce Onu. “Dopo i 3 attacchi di giovedi, stamane (ieri per chi legge ndr) ne abbiamo registrato un quarto: l’esercito israeliano ha colpito la sede Unifil a Naqoura non lontano dai nostri ospedali. Sono quattro attacchi in 48 ore con altri due feriti fra i peacekeeper dello Sri Lanka, uno è grave”.

TRUF
Le forze di peacekeeping dell'Onu

Un carro armato ha centrato una torretta di osservazione. Israele se la cava così: “Un errore, dato il difficile ambiente operativo in cui Hezbollah usa strutture civili e Unifil come scudi. L’Idf cercherà di fare in modo che tali episodi non si ripetano”. Nel bollettino di guerra l’Onu fa sapere anche che “un bulldozer ha abbattuto un muro di protezione di una postazione Unifil a Labboune”. A Naqoura, quartier generale dei caschi blu dove è schierata anche la task force di elicotteri Italair, nelle due basi avanzate italiane più a sud I-31 e I-32A, la tensione è alta. Il livello di allarme è stato elevato a 3, soglia massima, che vuol dire vita nei bunker e giubbetto protettivo sempre indossato. I portavoce militari italiani hanno l’ordine di tenere la bocca chiusa. Chiamate rifiutate, messaggi bloccati. Questo dà l’idea di che aria si respiri nelle basi. Il comando Unifil tra l’incudine Hezbollah e il martello israeliano riorganizza i reparti: 300 peacekeeper via dagli avamposti verso basi più protette.

Tel Aviv vuole neutralizzare tutti bunker e infrastrutture militari di Hezbollah, proliferati nonostante la missione dei caschi blu che avrebbe dovuto scongiurare questo scenario. È l’accusa dello Stato ebraico. Intorno ai villaggi ormai popolati da fantasmi le truppe israeliane si spostano in piccoli e grandi flussi, tendono a occupare una zona che sarebbe interdetta.

Ma lo Stato maggiore ebraico non sente ragioni, e alle parole per far arretrare Unifil e avere campo libero nelle operazioni, ha sostituto l’artiglieria. Israele fa sapere di aver aperto un’inchiesta sugli attacchi. Però il portavoce dell’Idf va giù pari: “L’area è zona di guerra aperta, le truppe Onu devono spostarsi più a nord”. I villaggi sul confine della Blue line si stanno vuotando e chi resta prega e spera.

Mirna, insegnante di 40 anni, parla al telefono da Rmeish, piccolo centro a maggioranza cristiana a 15 chilometri da Naqoura. “Viviamo in mezzo alle bombe e ai razzi di Israele e Hezbollah. Molti sono fuggiti. In pochi rimaniamo qui, non abbandoneremo le nostre case: temiamo vengano occupate dagli sfollati della popolazione sciita. I militari israeliani vogliono costringerci a evacuare il villaggio, ma non se ne parla. Hezbollah più volte ha posizionato le batterie mobili di razzi vicino alla chiesa, ripetutamente danneggiata, usandola come scudo. Il sacerdote è stato ferito, ma resta qui”. Mirna racconta decisa, ma la paura affiora dalle sue parole: “Hezbollah ci minaccia perché vede noi cristiani come collaborazionisti. Un abitante che aveva scattato alcune foto alle batterie di razzi è stato fermato per 5 giorni, poi è dovuto fuggire al nord. Abbiamo cibo, ma siamo quasi senza medicinali e da qui non possiamo muoverci”.

Non c’è tregua. Ogni ora lo scenario può cambiare. Bernard Selwan Khouri, leader del Centre for Oriental Strategic Monitoring scuote il capo: “Va ripristinata subito la risoluzione Onu 1701 che prevede che nel Sud del Libano non ci siano nuclei armati, se non quelli dell’esercito regolare libanese. Le Nazioni unite agiscano, fino a ora non lo hanno fatto. E il Libano deve scegliere un presidente che manca da due anni. I nomi ci sono: Joseph Aoun, comandante delle Laf ed Elias al-Baysari, direttore della Sicurezza”. Oggi è un altro giorno, nella turbolenza delle polemiche e dell’indignazione internazionale, la guerra continua.