Giovedì 19 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Libano in fiamme, Mediterraneo a rischio. Cinque domande (e risposte)

Lo Stato vicino al crac, il disastro con centinaia di morti ha fatto precipitare tutto L’Italia potrebbe dimezzare gli scambi commerciali. Le pressioni della Francia

Proteste in Libano (Ansa)

Le massicce proteste popolari di sabato, con attacco a 3 ministeri, hanno fatto 1 morto e 730 feriti. E sono continuate ieri. Nel mirino il governo e la componente sciita Hezbollah. "Sul piano interno libanese – osserva Valeria Talbot dell’Ispi – il disastro del 4 aprile ha rilanciato con forza la protesta, che non si era fermata neanche in piena emergenza Covid-19. Il governo ha promesso elezioni entro sei mesi per tentare di tamponare il malcontento. Ma visto il sistema elettorale, concepito per mantenere un equilibrio tra le varie componenti etnico-settarie, è difficile che si arrivi a un cambio dei rapporti di forza. Essenziale sarà capire se verrà confermato il ruolo di Hezbollah. Tra i freni al cambiamento anche il fatto che le proteste, per quanto ampiamente condivise dalla popolazione, hanno rivendicazioni generiche e troppo ambiziose e sono senza un leader, o, meglio, un leader per ogni componente etnica, che possa candidarsi e vincere le elezioni e poi tentare di cambiare il Paese. Il rischio è che si dimetta il governo e ne venga eletto un altro prigioniero degli opposti veti delle diverse componenti senza che cambi nulla.

Incidente o bomba? Il dubbio resta

Incidente per grave negligenza o azione deliberata? Il presidente libanese Michel Aoun ha ribadito che "la causa dell’esplosione a Beirut è ancora sconosciuta e c’è la possibiltà dell’intervento esterno attraverso una bomba o un missile". Ue e Usa hanno chiesto un’inchiesta indipendente. La Francia la vorrebbe internazionale. Ma il presidente Aoun si è detto contrario a un’inchiesta internazionale "perchè rischierebbe di annacquare la verità". In realtà, è vero l’esatto opposto. Non a caso anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, negando coinvolgimenti, ha però respinto l’ipotesi di un’inchiesta internazionale. La verità è affare tra libanesi.

Dove trovare i finanziamenti che servono?

L’Onu stima in 117 milioni di dollari nei prossimi tre mesi il fabbisogno del Libano. La Conferenza dei paesi donatori, riunitasi ieri si è detta pronta ad aiutare: i circa 30 Paesi (tra i quali Ue, Usa, Cina, Uk, Russia e paesi del Golfo) hanno stabilito che "la loro assistenza al Libano verrà coordinata dall’Onu e fornita direttamente alla popolazione con la massima efficacia e trasparenza» ma hanno chiesto «riforme tempestive". L’Ue ha promesso 63 milioni di euro, la Francia e il Quatar 50, la Germania 20, gli Usa 15 milioni.

Stato fallito, incubo da evitare

Il rischio che lo Stato fallisca è incombente. "Il Libano – ha avvertito il ministro degli Esteri Nassif Hitti, dimettendosi – sta diventando uno stato fallito. Se i contradditori attori che agiscono nel Paese non riusciranno a trovare un accordo, la barca affonderà, con tutti dentro". Il Paese affronta le peggiore crisi economica dalla guerra civile. Il debito vale il 170% del Pil, la sterlina locale è precipitata dell’80% dalle proteste di ottobre a oggi. E a marzo, quando il Libano avrebbe dovuto rimborsare bond europei per 1,2 miliardi di dollari, il premier Assan Diab ha annunciato il default e l’avvio di negoziati per ristrutturare il debito.

Che accadrà all'export dell'Italia?

Una ricerca condotta da Cnr-Ircres mostra che le esportazioni italiane verso il Libano sono concentrate (82,6%) nel trasporto via mare e con la devastazione del porto di Beirut questo non potrà non avere ripercussioni. Il settore potenzialmente più colpito è quello della raffinazione petrolifera (che vale 489 milioni di euro), a cui seguono i tipici prodotti del made in Italy (macchinari, che valgono 191 milioni, e poi chimica, alimentari e arredamento). La localizzazione delle raffinerie determina che le regioni più coinvolte siano Sardegna (21.1%) e Sicilia (19%), a cui seguono le aree dei distretti industriali lombardi (15.2%), veneti (11.4) ed emiliano romagnoli (9,7%). Anche se gli scambi con il Libano non sono particolarmente intensi (1,2 miliardi di euro di esportazioni dall’Italia e solo 40 milioni di euro di importazioni). Si teme un dimezzamento, almeno nei primi mesi. Il governo libanese punta a dirottare buona parte delle importazioni nello scalo di Tripoli, 80 km a nord, che è stato potenziato dai cinesi ed è adeguato per i container ma sembra sottodimensionato per i prodotti petroliferi. La Turchia ha messo a disposizione il porto di Mersin.