Giovedì 26 Dicembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Libano fra stabilità e cambiamento: "Italia ha investito molto e continuerà a farlo"

L’ambasciatore a Beirut Nicoletta Bombardiere: "Il Paese oggi si trova in una anomalia costituzionale, con il Presidente della Repubblica scaduto in ottobre, un governo che si occupa di affari correnti e l’elezione del Presidente della Repubblica all'orizzonte. Chiediamo riforme del settore elettrico, dell’economia, del settore giudiziario"

Nicoletta Bombarbiere, ambasciatore italiano in Libano

Roma, 5 dicembre 2022 - "!Il Libano è un Paese cerniera tra Europa e oriente, un paese multiconfessionale, è un paese democratico e nel quale convivono gruppi diversi. Dobbiamo fare di tutto per preservare questo Libano. Non possiamo permetterci che possa tornare ad essere una area di instabilità. Per quanto piccolo, ha un valore strategico importantissimo. L’Italia ci ha investito molto e intende continuare a farlo, conciliando la stabilità con il cambiamento”. A Beirut dal febbraio 2020, l’ambasciatore italiano in Libano Nicoletta Bombardiere, umbra nata a Città della Pieve e cresciuta a Città di Castello, ci aiuta a comprendere le dinamiche nel paese in preda ad una gravissima crisi economica e istituzionale. Una crisi che interessa anche noi.

Quale è la situazione in Libano? Si è parlato molto di paese al collasso, delle proteste popolari del 2019, però le elezioni del 2022 non hanno prodotto una novità sostanziale e non hanno portato in Parlamento le forze che hanno manifestato nelle piazze e una situazione di stallo si sia creata dopo la fine del mandato del presidente Aoun, sia per il governo, che è dimissionario. Sembra che il Libano sia in un cul de sac…

“Il Libano sta scivolando, ormai da tre anni, lungo un piano inclinato, con un decadimento progressivo del tessuto economico sociale e una forte erosione dei servizi pubblici essenziali. E’ un declino che effettivamente non si sta arrestando. Nel frattempo il paese si trasforma, si trasforma  la fisionomia del Paese reale. Vediamo un ceto medio qualificato che sta cercando di emigrare, vediamo il crollo del settore bancario che spinge vero una economia sempre più basata sul contante, una economia sempre più informale e sommersa. E vediamo flussi migratori nuovi in partenza dalle coste libanesi verso il Mediterraneo orientale e centrale. Anche il sistema educativo e sanitario per il quale il Libano era famoso nella regione è ormai allo stremo. Come diceva lei, le forze che hanno promosso le proteste non si sono trasformate in una forza politica alternativa, ma sono rimaste frammentate in più gruppi di opposizione. Quindi  da un lato il sistema politico sostanzialmente non è cambiato e continua ad essere basato su quella condivisione del potere delle cariche pubbliche su base confessionale tipico del modello libanese, ma questo sistema è paralizzato e non produce più quei dividendi clientelistici che produceva un tempo. Il Libano oggi si trova in una anomalia costituzionale, con il Presidente della Repubblica scaduto in ottobre, un governo le cui prerogative sono limitate agli affari correnti e la grande partita politica per l’elezione del Presidente della Repubblica che è agli inizi e ci fa intravedere tempi lunghi”.

L’Unione Europea e gli altri attori esterni come possono tentate di sbloccare la situazione aiutando i libanesi a dipanare il nodo della crisi e riportare il Paese verso una strada di stabilità, crescita e sostenibilità?

“L’Unione europea che è partner e donatore principale in Libano è convinta che il Libano debba fare la sua parte. La nostra opera di pressione convincimento lo stiamo facendo da molto tempo, con una richiesta chiara di riforme in tutti i campi a partire soprattutto dalle misure urgenti di stabilizzazione economica in accordo con il fondo monetario internazionale. Chiediamo riforme del settore elettrico, dell’economia, del settore giudiziario. Ma è evidente che se il Libano non è convinto da solo a intraprendere questa strada, non ci sono altre soluzioni. La comunità internazionale è impegnata sotto il profilo umanitario, assistendo la popolazione vulnerabile ma la parte principale della responsabilità del cambiamento ricade in capo al governo libanese, alla classe politica libanese e, in maniera più allargata, all’establishment libanese”.

La guerra dei depositi mostra un libano sospeso tra collera e disperazione. E’ possibile invertire il trend e pensare ad uni sviluppo diverso. La popolazione ha perso la speranza o cerca ancora di trovare una via d’uscita?

“Il tema dei depositi è il tema di oggi ed è il tema di come si ripartiscono  le perdite finanziarie  che sono state stimate in 72 miliardi di dollari.  In soldoni, quanta responsabilità attribuire alle banche, quanta al governo e al settore pubblico che negli anni sia molto indebitato, quali depositi garantire e soprattutto come garantirli. Paese é da tre anni che dibatte su questi temi.  Gli ultimi mesi abbiamo visto forme di disperazione delle persone che non hanno accesso ai propri depositi e mentre il paese dibatte il valore dei depositi intrappolati si è eroso. Il Fondo  monetario internazionale considera il tema dei depositi e come verranno gestiti la vera cartina di tornasole della volontà del Libano di ristrutturare il suo settore bancario, che è tecnicamente fallito, realizzare le riforme che sono necessarie per accedere un pacchetto di assistenza da parte dello stesso Fondo monetario internazionale.  Io credo che invertire il trend  e immaginare un modello di sviluppo diverso che passi da un’economia di vendita a una economia produttiva e sostenibile è possibile perché il Libano ha capitale umano e vocazione imprenditoriale per farlo  ma le misure preliminari e urgenti che il Fondo richiede per stabilizzare i parametri macroeconomici ancora oggi incontrano una opposizione diffusa di una parte dell’establishment politico, economico e bancario. A mio avviso senza delle riforme profonde in Libano sarà grado di attrarre quelle risorse che sono necessarie per far ripartire e frenare il collasso. Ma al momento abbiamo pochi segnali della volontà il governo libanese di crederci fino in fondo”.

Che valore ha l’intesa con Israele per lo sviluppo delle risorse energetiche marittime? Può essere questo un volano di sviluppo e quindi anche di stabilità?

“Questa intesa è stata definita storica e a mio avviso questo aggettivo è pienamente giustificato. Ci sono voluti 10 anni di negoziati, non è la normalizzazione tra i due Paesi, però l’intesa certamente definisce una cornice entrala quale sfruttare le risorse energetiche. Indubbiamente ciò potrà consentire di investimenti che saranno necessari, tra l’altro ricordo che Eni è in consorzio con Total,  e il gas, se sarà trovato, potrà essere commercializzato, ma, attenzione, solo tra diversi anni. Quindi nell’immediato questo accordo non sarà d’aiuto per far uscire il Libano dalla crisi economica né sostituisce la necessità  piano rigoroso di salvataggio economico ma indubbiamente in un contesto economico e di governance  risanata in casa potrebbe produrre sviluppo. Oggi però siamo in piena crisi energetica. Il paese ha grandi difficoltà nell’acquistare il combustibile che serve alla rete elettrica nazionale. Si garantiscono due ore al giorno di elettricità e il resto è coperto generatore che bruciano diesel. Quindi in prospettiva speriamo che Libano possa beneficiare delle risorse energetiche che sembrano siano presenti davanti alle sue coste ma nel frattempo c’è bisogno al più presto politica nazionale condivisa anche in campo energetico, con riforme vere”.

Altro problema molto importante è quello dei profughi, il primis siriani, che resta un fardello pesante per il Libano. Ci sono prospettive per un ritorno in Siria di almeno una parte dei migrati accolti in Libano?

“Questo in effetti è l’altro altro grande tema che è oggetto di un dibattito politico trasversale ed è tra l’altro molto sentito dalla popolazione libanese. La crisi ha colpito duramente anche la classe media libanese spingendola sotto il livello di povertà e questo ha portato a una competizione per l’accesso alle risorse pubbliche, quindi anche di competizione con i rifugiati siriani giunti nel paese. E le cui condizioni, va ricordato, si sono deteriorate.  Allo scoppio del governo del conflitto in Siria il Libano ha colto generosamente massicce ondate di profughi e al contempo un consistente volume di fondi gli sono stati forniti dalla comunità internazionale. Il Libano di oggi dice che occorre una prospettiva per il ritorno in Siria nei profughi, o di parte di essi. Ma noi europei e le agenzie internazionali ritengono che ancora non esistono in Siria le condizioni per un piano complessivo di ritorni in grandi numeri. Ma dobbiamo capire le preoccupazioni libanesi. Le autorità libanesi stanno lavorando in collaborazione con quelle siriane, e noi le incoraggiamo, per procedere a ritorni accompagnati in Siria di coloro che esprimono la volontà di rientrare. Sono piccoli numeri al momento, e solo su base volontaria. Ma oltre, oggi, non è realistico andare”.

 A proposito di immigrazione prima faceva riferimento a dei flussi in partenza dal Libano verso il Mediterraneo orientale e centrale. Compresa l’Italia?

“E’ un fenomeno che abbiamo visto emergere in questi ultimi mesi, con un numero crescente di partenza dalle coste libanesi, soprattutto dalla parte settentrionale del Libano. Non sono numeri massicci, parliamo di alcune centinaia di persone nel 2021 e un complessivo di 1.200 persone nel 2022. Ma potenzialmente il bacino interessato è ben più vasto, perché il bacino allargato può interessare singoli siriani, che palestinesi che gli stessi di Libanesi. Per la prima volta quest’anno abbiamo visto partenze di libanesi con barconi. Anche questa è una conseguenza della crisi economica libanese. E tra le destinazioni c’è anche l’Italia. I trafficanti stanno aumentando sempre di più le capacità per gestire questo fenomeno anche se le autorità libanesi fanno del loro meglio per contenere il fenomeno ed evitare che diventi una nuova rotta migratoria”.

Quale è il quadro nel quale opera il contingente italiano nel Libano? Quali sono i rischi e i benefici della nostra presenza nel sud del paese?

“Il nostro contingente è il secondo per grandezza,  e dal 200 abbiamo esercitato per quattro volte il comando della missione. Attualmente ha il comando del settore ovest della missione. Il nostri ruolo è stato ai massimi livelli, operando su una linea di  demarcazione che non è un confine riconosciuto. Il nostro  mandato, come quello di tuti i paesi che fanno parte della missione è quello di mantenere la stabilità lungo questa linea di demarcazione, assicurare questa funzione di interposizione in caso di tensioni e sostenere le forze armate libanesi che operano nell’aria e assistere la popolazione anche con progetti di assistenza. E’ anche grazie ad Unifil che in questi anni abbiamo assistito nell’area ad una calma relativa, il che non mi pare poco".