Roma, 25 settembre 2024 – Hanno bombardato anche a un paio di chilometri dalla nostra sede, a Beirut. Ci sono jet che colpiscono obiettivi su aree civili, non solo al sud, ma anche nella capitale. Abbiamo la guerra in casa e nessuno sa cosa ci porterà il domani. Siamo tutti terrorizzarti che sul telefonino ti arrivi il messaggino dell’esercito israeliano che avverte: abbandonate l’edificio, entro mezz’ora lo bombardiamo. Siamo sospesi come d’autunno le foglie sugli alberi”. Così Maurizio Raineri, responsabile per il Libano di WeWorld, associazione umanitaria italiana che nel Paese dei cedri ha 7 espatriati (sei dei quali italiani) e impiega una cinquantina di locali.
Come funzionano gli avvisi sui telefonini?
“Vengono mandati ai cellulari che si trovano in una certa zona, dove si prevede di fare un bombardamento. Li hanno ricevuti i nostri che si trovano nella valle della Bekaa. Ma anche chi vive nella periferia sud di Beirut, zona a prevalenza sciita oggetto di attacchi l’altro ieri, o chi vive nel sud. Ti danno mezz’ora, poi buttano giù tutto. Definirlo molto stressante è poco: magari così sopravvivi, certo, ma ti distrugge psicologicamente. E forse è anche quello l’obiettivo, farti sentire impotente”.
Per questo la gente fugge dalla frontiera e dalle aree sciite?
“Fugge perché le bombe cadono anche sulle aree civili e non per errore. La gente se ne va come può, praticamente portando solo la famiglia e nulla altro. Va verso Tiro, Sidone, ormai anche verso Beirut. Dicono addirittura che nella Bekaa c’è una fila al valico con la Siria: che un Paese devastato dalla guerra venga percepito come luogo più sicuro del Libano, dà tragicamente la misura della situazione”.
Quanti sono gli sfollati?
“A lunedì sera le Nazioni Unite parlavano di 111.940 persone, che non comprendono gli sfollati dalla Bekaa di ieri. In larga parte si sono sistemate da amici e parenti, o in qualche shelter di fortuna, o in strutture allestite da chiese e moschee, ma credo che si aprirà presto un problema umanitario che richieda l’intervento delle Ong internazionali, anche noi stiamo valutando se aprire un programma ad hoc”.
Cosa si attende la gente?
“È sconfortata, è convinta che gli attacchi continueranno. Molti temono anche incursioni di terra, specie al Sud, pensano che i bombardamenti siano solo una fase preparatoria prima di una azione israeliana di terra. del resto, è già successo tante volte, sono cose che la gente di mezza età o anziana ricorda bene. I libanesi sono sconfortati, io ero già stato qui nel 2004 e allora c’era una grande voglia di ricostruire, c’era fermento, ottimismo per il futuro. Quando sono tornato nel 2020 ho trovato un Paese in ginocchio per la crisi economica, scioccato dalla devastante esplosione che distrusse il porto di Beirut, e che vive da anni in una grande depressione, con una totale assenza di prospettive. Ci mancava solo la guerra, ed è arrivata”.