Washington, 1 dicembre 2022 - Si può rimpiangere un dittatore? Certamente. La storia ce ne offre un’ampia rassegna perché – come dice un noto proverbio – al peggio non c’è mai fine. E dunque non deve sorprendere se ieri nella Cina comunista i social media – a dispetto delle censure – si richiamassero ai tempi andati, ai tredici-quattordici anni dal 1989 al 2002-2003 quando il segretario generale del partito, presidente della Commissione militare e presidente della Repubblica Popolare era Jiang Zemin. I motivi: la sua morte all’età di 96 anni e la contemporanea ondata repressiva di Xi Jinping che senza la sua designazione non ne sarebbe mai diventato il successore alla testa della seconda superpotenza economica del mondo.
"LOTTARE PER LA LIBERTÀ"
Ovviamente anche i media di regime riportano la luttuosa notizia. Ma solo per l’azione di Jiang "in difesa del socialismo". Ben diversi i commenti sui social media. Nei gruppi di Telegram sotto un’immagine in bianco e nero si legge "Ricordare lo scomparso, lottare contro i lockdown per il popolo, per la libertà". Libertà. Ecco un’invocazione che a Pechino, Shangai, Nanchino, Wuhan, eccetera non si sentiva da trentatré anni. La urlavano gli studenti di piazza Tienanmen nel giugno del 1989. E a soffocarla paradossalmente fu proprio Jiang su ordine di quel Deng Xiaoping che sconfessando i dogmi del marxismo-leninismo aveva inventato la via cinese al capitalismo. Jiang era una sua creatura. Aveva recepito il paradosso di un comunismo ridotto a un guscio vuoto in economia ma implacabilmente monolitico nel potere e nella repressione del dissenso.
COME COMINCIÒ TIENANMEN
Forse, come ho già scritto, le proteste contro la "tolleranza zero" di Xi non andranno al di là della gestione del Covid. Forse. Ma va ricordato – come nota Kerry Brown, professore di studi cinesi al King’s College di Londra – che anche piazza Tienanmen cominciò più o meno così. Gli studenti dell’università di Pechino si erano radunati per commemorare la morte di Hu Yaobang, ex segretario generale del partito, il meno duro fra i duri della nomenklatura. Fu l’occasione per chiedere che alla sua relativa flessibilità non facesse seguito la repressione come era accaduto nel 1976, quando in quella stessa piazza si era manifestato nel ricordo di Ciu Enlai, il nemico della Rivoluzione Culturale di Mao Tsetung. E invece la repressione ci fu, guidata proprio da Jiang. Il quale però – ecco il capolavoro – li portò a dimenticare i diritti civili e l’aspirazione a una way of life di tipo occidentale. Fu lui l’artefice del cosiddetto miracolo cinese. Fu lui che riuscì ad anestetizzarli. Al comunismo i giovani del decennio successivo sostituirono il consumismo.
UN BILANCIO STREPITOSO
Il bilancio di Jiang è strepitoso. I suoi tredici-quattordici anni videro l’ingresso della Cina comunista nella World Trade Organization con la complice irresponsabilità di Bill Clinton e dell’Europa allora socialista. Un suicidio. Videro il recupero delle ex colonie di Hong Kong e Macao, i giochi olimpici del 2008, e soprattutto una crescita economica annuale mai inferiore al 9 per cento. E videro ancora l’ingresso nel partito degli imprenditori privati che all’economia di mercato e non al collettivismo socialista dovevano le loro ricchezze. Fra costoro anche quel Jack Ma, il fondatore di Alibaba, gigante dell’e-commerce, la cui fortuna era calcolata sui i 50 miliardi di dollari. Jack Ma oggi vive nascosto a Tokyo, come rivela il Financial Times. Quei 50 miliardi si sono dimezzati. Non tornerà in Cina. Teme di finire in galera dopo avere pagato quasi 4 miliardi di multe.
EPURAZIONI NEL PARTITO
Lotta alla corruzione, motiva il nuovo uomo forte di Pechino. Ma il fatto è che la sua crociata contro imprenditori non in linea e le epurazioni fra i quadri del partito si sono rivelate un pretesto per un controllo ancora più capillare della società.
TIFOSI SOLO CON MASCHERE
Fine dell’epoca delle aperture e della tolleranza del suo predecessore. Tolleranza zero dappertutto. Persino nelle riprese televisive dal Qatar. Vengono inquadrati solo i tifosi che portano le mascherine. I social media che sfuggono all’oscuramento lo rilevano. Rimpiangono Jiang confermando il paradosso: si stava meglio quando si stava peggio.