Venerdì 7 Marzo 2025
VIVIANA PONCHIA
Esteri

Siria, l’attore esule in Italia: "Sangue chiama sangue. Un lungo tunnel buio"

Orwa Kulthoum: ho paura di essere ancora deluso

Siria, l’attore esule in Italia: "Sangue chiama sangue. Un lungo tunnel buio"

Roma, 10 marzo 2025 – "Io sono un ottimista e alla mia gente dico quello che ho imparato qui in Italia durante il Covid: andrà tutto bene. Voglio che tornino a mangiare bene, che ci sia l’elettricità per tutti, che vivano con onore. Mi attacco alla speranza, ma ho paura di essere di nuovo deluso". Orwa Kulthoum, 45 anni, è un attore e un docente di recitazione siriano in Italia dal 2016. Vedere il suo Paese ripiombare nella violenza incrina la fiducia in un futuro di equilibrio e pace.

Dalla caduta di Assad sono passati pochi mesi, dopo l’euforia riprende la conta dei morti. Che notizie ha da sua madre e suo fratello, dai suoi amici?

"Si parla di 385 persone uccise l’8 marzo. Ma mi assicurano che negli ultimi 3-4 giorni sono più di duemila. Damasco è tranquilla, non così la provincia costiera di Latakia, dove sono state giustiziate le minoranze di alawiti fedeli ad Assad. Parlano di operazioni di sicurezza. Li invitano ad arrendersi prima che sia troppo tardi".

Orwa Kulthoum, 45 anni, attore e docente di recitazione siriano, in Italia dal 2016
Orwa Kulthoum, 45 anni, attore e docente di recitazione siriano, in Italia dal 2016

Non c’è pace. Immaginava una storia diversa?

"Sangue chiama sangue, lo abbiamo imparato. Quando il regime è caduto ero felice ma anche inquieto perché conosco il mio popolo. Un mosaico di etnie e religioni che improvvisamente ha capito che si può dire di no. Ho cercato di non esaltarmi troppo, guardare al nuovo governo come a una donna incinta. Diamogli tempo, mi sono detto. E ancora ne è passato troppo poco: un cane tenuto al guinzaglio per più di mezzo secolo quando torna libero è facile che morda".

Da quando è scappato nel 2012 lei ha continuato a raccontare la Siria da lontano. Non torna adesso che può farlo?

"Laggiù ho la mia terra, le mie olive, la mia famiglia. Ma temo l’ennesima delusione. Me ne andai perché ero stato richiamato dall’esercito per diventare militare esperto nel combattimento urbano. E per andare in tv a dire “sono dalla vostra parte“. Figuriamoci. Hanno provato a uccidermi due volte, una ho rischiato di essere rapito. Avevo un ristorante, ho chiuso e sono andato a Beirut".

Quattro anni di Libano con il cuore a Damasco, documentari come Echos of the Shadows. Poi l’Italia.

"Io che volevo solo riempire la valigia di parmigiano non sono più potuto tornare. In aeroporto, prima dell’imbarco per Roma, un tizio mi toccò la spalla e mi sussurrò: “Orwa, ho l’ordine di riportarti in Siria. Ma siccome sono un tuo fan facciamo così: due selfie e poi riferisco che il portellone dell’aereo era già chiuso“".

Pensa che l’attuale situazione internazionale possa influire sul destino della Siria?

"No, penso che i giochi siano già fatti da tempo. Trump si è messo d’accordo con Putin per la spartizione e il destino è segnato, il mosaico diventerà uno spezzatino. Il governo non è capace di difendere se stesso, è un bambino che non ha ancora cominciato a parlare. Vedo l’inizio di un’altra storia, come in Libano e in Libia. Un lungo tunnel buio".