Firenze, 7 marzo 2024 – In Bielorussia, dov’è nata e cresciuta, rischia la pena di morte da quando è stata inserita nella lista nera come terrorista. Olga Karatch, giornalista e attivista per i diritti umani, Premio Langer 2023, è candidata al Nobel per la Pace 2024. La sua opposizione al regime di Lukashenko le è valsa l’arresto e la tortura. Oggi vive in esilio in Lituania e porta avanti una lotta non violenta contro la guerra in Ucraina. In questi giorni è in giro per l’Italia per parlarne.
L’Unione europea cosa può fare?
"Aiutare i rifugiati e gli obiettori, soprattutto ora che Lukashenko è sotto pressione di Putin per la mobilitazione. Ci aspettiamo che avvenga dopo le elezioni. Abbiamo bisogno di un segnale chiaro dall’Ue: gli obiettori siano riconosciuti".
Che idea si è fatta sulla morte di Navalny?
"Non credo alla morte naturale e anche se si fosse sentito male è probabile che non abbia ricevuto i trattamenti dovuti".
Lei si batte anche per i diritti delle donne. Qual è la situazione attuale in Bielorussia?
"La lotta per i diritti delle donne è la chiave per la democratizzazione. Lukashenko controlla la loro vita. Una donna, per ottenere la patente di guida, deve certificare di non essere incinta e non avere malattie veneree, e non può fare alcuni lavori: erano 252 quelli proibiti e siamo riusciti a ridurli a 186. Nel 2013 abbiamo fatto la campagna ’252+1’: e quel +1 è perché Lukashenko ha detto che una donna non può essere presidente. Se si oppone al regime, le forze dell’ordine la molestano e le fanno pressioni. La mia collega, attivista, Yana Polyakova, 36 anni, si è suicidata in seguito alle violenze della polizia".
Come è cambiata la situazione negli ultimi anni?
"È peggiorata. Lukashenko ha dichiarato pubblicamente che uomini e donne non sono uguali. Anche la repressione è basata sul genere: un uomo ha un rischio maggiore di essere picchiato o di finire in prigione più a lungo; una donna rischia di perdere il lavoro e i figli. Il regime ha cercato di portarmi via mio figlio, di un mese, come vendetta per il mio attivismo".
Quali sono le altre battaglie sociali da vincere?
"Siamo solo all’inizio. Oggi le donne fanno ancora lavori ’invisibili’ e per le vittime di violenza domestica non esiste un rifugio. Se una donna denuncia, lo Stato le toglie i figli e il marito riceve una multa. Sempre più donne si ribellano, ma il prezzo da pagare è alto: in centinaia sono in prigione e migliaia hanno subito torture".
Che ruolo hanno nella lotta contro la guerra e contro il regime?
"Le donne sono attive su entrambi i lati. Lukashenko le utilizza, ma non prendono decisioni, si limitano ad attuarle. L’80% dei membri delle commissioni che falsificano le elezioni sono donne. Molte sono giudici che emettono verdetti a sfondo politico. Allo stesso tempo, la protesta del 2020 ne ha mobilitato un gran numero. Il processo è in corso, così come i dibattiti su temi come lo stupro e la violenza di genere".
Alle ultime elezioni tre donne hanno sfidato il governo. Sono loro il volto della nuova Bielorussia?
"No, purtroppo il loro destino dopo il 2020 si è rivelato diverso. Questo perché la loro leadership non è stata una scelta, ma un’opzione obbligata, gli uomini erano in prigione e non c’erano leader maschi. Non è stata una rivoluzione femminista, sono andate a difendere i loro mariti, colleghi, amici. Maria Kolesnikova, motore principale della rivoluzione, è in carcere e non si hanno sue notizie da più di un anno. Veronika Tsepkalo, che ha fondato il ’Fondo per le donne’ in Lettonia, sostiene le prigioniere politiche. Sviatlana Tikhanouskaya, ex candidata alle presidenziali, purtroppo non è stata all’altezza delle speranze dei bielorussi".
C’è il sostegno degli uomini o siete sole?
"Si, c’è. Gli uomini ne traggono beneficio, la parità di genere significa per loro il diritto ad essere diversi: non per forza machi e dispensatori di denaro".