ROMA"Preghiamo perché a Natale possa cessare il fuoco su tutti i fronti di guerra: in Terra Santa, in Ucraina, in tutto il Medio Oriente e nel mondo intero. Tacciano le armi e risuonino i canti natalizi. Con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà, ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e di ospedali. Quanta crudeltà". L’appello di Papa Francesco all’Angelus è un appello di pace tanto forte quanto diretto, che reitera quanto detto ai cardinali sabato. Parola ancora più forti di quelle pronunciate il giorno prima, che avevano provocato la dura reazione di Israele e che comunque non hanno fermato gli attacchi dell’aviazione con la stella di David. Dopo 433 giorni di guerra, nella Striscia si continua a combattere e a morire.
Almeno 28 persone sono rimaste uccise nei raid aerei lanciati tra sabato sera e ieri mattina da Israele su Gaza. Il portavoce dell’agenzia di difesa civile di Gaza, Mahmud Bassal, ha dichiarato che "almeno 13 persone sono state uccise in un attacco aereo che ha colpito una casa a Deir al-Balah, sterminando una famiglia". Otto persone, tra cui quattro bambini, sono state invece uccise nell’attacco alla scuola Musa Bin Nusayr, che era stata riadattata come rifugio per i palestinesi sfollati a causa della guerra. L’Idf ha sostenuto che il raid sulla scuola "è stata una precisa azione mirata" che "ha colpito terroristi di Hamas che operavano all’interno di un centro di comando e controllo nell’area di Daraj Tuffah, innestato in un complesso che in passato costituiva la scuola Musa Bin Musayr". Il centro, secondo l’idf, "serviva da base per condurre attacchi contro i militari e lo Stato di Israele". Tutto come negli scorsi mesi.
Nel frattempo, continuano le trattative a Doha tra negoziatori per cercare di raggiungere un cessate il fuoco. L’accordo sarebbe "completo al 90%", secondo fonti palestinesi, ma restano ancora da risolvere questioni chiave. Uno dei nodi delle trattative è la priorità nella liberazione. Altro punto critico dei negoziati è la presenza militare israeliana nel corridoio Filadelfia, lungo il confine con l’Egitto. Nella trattativa si sarebbe anche concordata la potenziale creazione di una zona cuscinetto larga diversi chilometri tra Israele e Gaza, dove l’Idf manterrà una presenza militare. Si sta discutendo anche la riapertura del valico di frontiera di Rafah tra Gaza ed Egitto, il potenziale ritiro delle truppe israeliane dal corridoio di Netzarim e il ritorno dei civili nel nord della Striscia.
Se tutto va bene, ci vorrà ancora qualche giorno. In compenso giungo altri segnali apparentemente positivi dalla Siria. Il leader siriano Al Jolani, a capo della coalizione che ha rovesciato il regime di Bashar Al Assad, incontrando il ministro degli Esteri turco ha affermato di "lavorare per proteggere le minoranze" e ha garantito che "tutte le armi presenti nel Paese passeranno sotto il controllo dello Stato", comprese quelle detenute dalle forze a guida curda, invise ad Ankara. ma è a dir poco incerto se i curdi accetteranno. Intanto il nuovo corso politico che la Siria mostra di voler intraprendere comprende anche l’entrata in scena di una donna, Aisha al-Dibs, nominata capo dell’ufficio per gli affari delle donne nell’amministrazione provvisoria. Dibs si è descritta sul suo account sui social media come "un’attivista concentrata sullo sviluppo delle donne e sul lavoro umanitario", ma è ancora da vedere se la sua nomina è una svolta o una foglia di fico per un regime islamista radicale.
Alessandro Farruggia