Per il suo servizio pastorale nei Balcani è un pontiere fra l'est, "in cui la narrazione russa è molto forte", così come le infiltrazioni politiche di Mosca, e l’ovest del Vecchio continente nel quale "i grandi sono sempre meno grandi". In questo contesto a dir poco travagliato per l'Europa, il 68enne Ladislav Német, arcivescovo di Belgrado e vice presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee, denuncia come lo stesso processo d'integrazione dell'Unione "sia minato dalla Russia e non solo", al punto che oggi il suo futuro politico è tutt’altro che scontato, sullo sfondo tragico di una guerra combattuta proprio alle porte della Ue, fra Kiev e Mosca, destinata nel breve periodo a "congelarsi" più che a risolversi. In questi giorni in Italia, l'alto prelato serbo ieri pomeriggio è stato creato cardinale da papa Francesco nella Basilica di San Pietro. Con lui altri 20 vescovi e preti che hanno ricevuto la berretta rossa nel decimo concistoro del pontificato bergogliano.
Cardinale Német, nel suo Paese, la Serbia, a livello politico e sociale, è massiccia la sintonia con Mosca? "Non sono troppo convinto di questa consonanza. I contatti serbo-russi non sono così secolari come tra il Cremlino e molti Paesi occidentali. Non dimentichiamo che Tito ruppe con Stalin nel 1948. Detto ciò, dall’inizio del XXI secolo è innegabile che la narrazione russa sia molto forte in Serbia".
Putin, tra elezioni presidenziali in Romania e repressioni delle manifestazioni europeiste in Georgia, è quantomeno sospettato d’infiltrazioni nelle poltiche dei Paesi dell'Est…
"La realpolitik da sempre è caratterizzata dalle penetrazioni dei più forti e grandi nelle vicende dei più deboli e piccoli. Nel caso di specie stiamo parlando poi di Stati satelliti della vecchia Unione sovietica".
A Est monta una certa nostalgia di Mosca, quasi una sindrome di Stoccolma?
"No, ritengo siano tentazioni fisiologiche in un mondo complesso, movimentato ed insicuro dove si cercano nuove alleanze, mercati e sicurezze".
Da vice presidente dei vescovi europei avverte un tentativo del Cremlino di minare l'unità della Ue?
"Sfortunatamente in questo caso Mosca non è sola. Penso alle altre potenze mondiali che, attraverso cospicui investimenti, stanno cercando d’influenzare la politica di vari Paesi dell’Europa in un periodo di crisi dell’Unione".
La Ue ha ancora un futuro?
"È il prodotto di un certo momento storico, è riuscita a mantenere la pace nel Vecchio continente per un periodo inedito, senza contare il grande sviluppo economico e sociale che si è avuto. Ciononostante non esistono accordi ed alleanze eterni. Ricordo le monarchie antecedenti la Prima guerra mondiale funzionavano, ma non tanto".
Guardando al conflitto alle porte dell'Unione, fra Mosca e Kiev, è illusorio pensare a una pace che assicuri l'integrità territoriale dell'Ucraina?
"Considerando la serie di 'operazioni speciali' condotte da Mosca in Moldavia e Georgia, mi sembra uno scenario difficile da realizzarsi. Nell'immediato è più facile che si arrivi ad un 'congelamento' del conflitto, con il silenzio delle armi, ma senza un accordo formale di pace".
Uno scenario alquanto precario che richiede inevitabilmente una ripresa dei contatti diplomatici con Mosca, come ha tentato il cancelliere tedesco Olaf Sholtz.
"Con Putin bisogna tornare a parlare, se si vuole provare a mettere fine alla guerra. Occorre farlo, avendo ben chiaro il contesto socio politico in cui ci troviamo e senza temere improbabili fini del mondo".