Roma, 29 giugno 2021 - Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo? In un mondo dove ormai si tendono ad appiattire le differenze, sono domande che ormai è pericolosissimo fare. Vale per gli uomini, ma vale anche per le famigerate varianti del virus. L’ultima, la più contagiosa di tutte, non si sa più bene come chiamarla. Era inizialmente definita "variante indiana", perché comparsa per la prima volta proprio là, in India. Ma poi, soprattutto – ma non – solo per motivi scientifici, si è preferito identificarla come "variante delta", anche per non rischiare di offendere tutti gli indiani che eventualmente potrebbero risentirsi nel vedersi chiamare in causa e, chissà, dichiararci una guerra che, se non altro a causa della sproporzione dei numeri in causa, ci vedrebbe sicuramente soccombere. Forse, se anche in Italia ci dovessero essere nuove restrizioni a causa di questa contagiosissima variante, gli indiani potrebbero pensare: "In Italia dicono che chiudono i ristoranti per colpa nostra; in Italia dicono che tengono chiusi i cinema per colpa nostra; in Italia palestre e piscine devono di nuovo sospendere l’attività, e danno la colpa a noi indiani! Guerra, che guerra sia!". Oppure crisi diplomatica, ritiro degli ambasciatori, Di Maio al lavoro per ricucire lo strappo diplomatico che sarebbe più grave di quello che vide protagonisti i marò.
Poi c’è, inevitabilmente, il problema del razzismo o presunto tale. Da più parti si pensa che alcuni italiani non proprio di larghe vedute potrebbero accusare gli indiani di questo nuovo problema, con conseguenti manifestazioni di piazza e tensioni sociali, magari al grido di "Con il virus degli indiani c’è il lockdown per gli italiani!". Insomma, da più parti si pensa che alcuni cretini potrebbero mal interpretare e quindi si preferisce evitare il problema. Per non fomentare i cretini, si finisce per assecondare i cretini. In verità, dare la colpa agli altri quando c’è un problema sanitario non è una novità. Accadde già, ad esempio, ai tempi della sifilide. Fuori da Napoli c’era chi la chiamava "il mal napoletano", fuori dalla Francia c’era chi la chiamava "il mal francese" e fuori dalla Spagna c’era chi la chiamava "il mal spagnolo". Ogni Paese identificava altrove gli untori e intanto la sifilide procedeva speditamente in tutta Europa, in realtà portata in loco da Cristoforo Colobo al ritorno dal primo viaggio nelle Americhe (che allora però si pensava fossero le Indie, ci sarà un nesso?).
Dare la colpa agli altri è uno degli sport preferiti nel nostro Paese e quindi è probabile che ci sarebbe qualcuno che lo farebbe volentieri anche stavolta. Ma allora come ci comportiamo? Neghiamo ogni provenienza, ogni caratteristica, e definiamo tutto in modo neutro, asettico, per evitare forme di razzismo strisciante che però a quel punto avrebbero inevitabilmente la meglio? D’altra parte, ragionando in questo modo, ci sarebbero anche molte altre definizioni che andrebbero quanto meno modificate. Il "fuoco di Sant’Antonio", ad esempio, è il modo popolare di definire l’herpes zoster, ma perché affibbiare la responsabilità di una così fastidiosa malattia a uno dei santi più amati dagli italiani? Meglio, allora, trasformarlo in "fuoco alfa". Narra la leggenda che la "pizza Margherita" fu creata in onore della regina Margherita di Savoia, ma non è forse un piatto troppo popolare per essere associato a qualcuno col sangue blu? E se poi qualche regnante d’Europa ancora in carica dovesse offendersi? Meglio allora una bella "pizza beta", per non creare polemiche. E i "bastoncini del capitano"? Che facciamo se a qualcuno non piace il merluzzo e poi incolpa, appunto, tutti i capitani? Meglio allora "bastoncini gamma".
A volte si passa in un attimo dal politicamente corretto al politicamente stupido. E allora chiamiamola così, "variante delta", sperando che però non si offendano tutti gli abitanti di tutti i delta del mondo, a partire da quelli del delta del Po, glorioso fiume italiano che non merita di essere così malamente offeso.
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