Roma, 29 agosto 2023 – Lo scorso 22 agosto la guerra ha ufficialmente superato la durata di 18 mesi. Entrambi i fronti sono esausti a causa di quello che è un logoramento a tutti gli effetti, anche psicologico. Tempo di cambiare i toni e il contenuto dei messaggi, soprattutto in presenza di una controffensiva che, per motivi diversi, viene percepita come foriera di risultati inferiori alle aspettative.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, pare averlo capito. Due sere fa ha concesso un’intervista a tutto campo alla giornalista della Tv di Stato, Natalia Moseichuk.
Il suo contenuto è stato ripreso da tutti i media del Paese e internazionali perché per la prima volta il numero uno di Kiev ha parlato di una soluzione politica sulla Crimea e non più di una riconquista armata come sempre accaduto finora. "Credo sia possibile – ha spiegato il presidente – fare pressioni politiche perché le truppe russe si ritirino dal territorio della Crimea. Sarebbe l’opzione migliore. Ogni combattimento potrebbe procurare la perdita di altre vite umane. Ogni cosa va ponderata attentamente".
La Crimea di nuovo ucraina sì, insomma, ma senza spargimenti di sangue e con Kiev che ‘come minimo’ deve arrivare al confine amministrativo del territorio.
Ma non è l’unico punto sul quale la posizione del presidente sembra essersi ammorbidita. Durante l’intervista, Zelensky ha definito una possibile guerra sul territorio russo "una brutta idea", che farebbe correre agli ucraini "il rischio di rimanere da soli a combattere la guerra".
Il riferimento è fin troppo chiaro ed è diretto al blocco degli alleati occidentali, americani in testa, che vedono con grande preoccupazione un possibile estendersi del conflitto e che, in quel caso, potrebbero tenere in sospeso la consegna degli F-16 che comunque non arriveranno nel Paese invaso prima del marzo 2024.
Il numero uno di Kiev vuole giocare al meglio le sue carte per diversi motivi. Non solo l’andamento della guerra. Zelensky ha annunciato che nel 2024 l’Ucraina andrà al voto per scegliere il nuovo presidente. Ha sottolineato però che ciò richiede modifiche legislative, fondi da parte degli alleati occidentali e osservatori internazionali anche in prima linea. Vuole mostrare la buona volontà anche in previsione di un possibile ingresso nell’Alleanza Atlantica, che però non avverrà in breve tempo. Tanto vale tirare i remi in barca, sperare che la controffensiva avanzi e soprattutto vedere cosa può cambiare dal punto di vista diplomatico adesso che ha aperto a una soluzione politica. Il prossimo 8 settembre, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, si recherà a Sochi dove incontrerà Putin, per poi andare al G20 a New Delhi. Il numero uno di Ankara da tempo si è proposto come mediatore fra le due parti e, pur avendo condannato l’invasione dell’Ucraina e non riconoscendo la Crimea come territorio della Russia, è comunque ancora uno dei partner più vicini a Mosca.
Era stato proprio Erdogan a negoziare l’accordo che aveva permesso al grano ucraino di lasciare i porti e poter essere trasportato attraverso il Mar Nero, fino a quando il Cremlino non ha deciso di affossarlo dopo un anno. La speranza è che le mutate condizioni generali possano permettere di rinegoziarlo e magari anche di porre le premesse per la fine delle ostilità.
Sul campo, però, si continua a combattere. Le forze russe due notti fa hanno attaccato la regione di Dnipropetrovsk, colpendo palazzi anche nella cittadina natale del presidente Zelensky. Gli ucraini proseguono a lenti passi con la controffensiva e ieri hanno annunciato di aver liberato il villaggio di Robotyne, nella regione di Zaporizhzhia.