Mercoledì 23 Aprile 2025
REDAZIONE ESTERI

La rivoluzione culturale di Trump. Via 2,2 miliardi, ma Harvard resiste

di Piero S. Graglia La polemica dell’amministrazione Trump contro le università è fondata su una tesi che è a dir poco surreale:...

La protesta per l’arresto dello studente attivista palestinese della Columbia University, Mohsen Mahdawi, a New York

La protesta per l’arresto dello studente attivista palestinese della Columbia University, Mohsen Mahdawi, a New York

di Piero S. GragliaLa polemica dell’amministrazione Trump contro le università è fondata su una tesi che è a dir poco surreale: poiché le università non ostacolano le proteste contro la repressione di Israele a Gaza e in Cisgiordania, avallano un sentimento antisemita e, pertanto, meritano di essere escluse dai finanziamenti pubblici, che sono "soldi dei contribuenti". La polemica viene quindi presentata in una maniera concettualmente sbagliata (protestare contro un governo non significa protestare contro un popolo nel suo insieme) e apertamente pretestuosa. Sorge il dubbio più che fondato che alla base della decisione dell’amministrazione non vi sia solo tale pretesto ma un disegno di più ampio respiro: quello di rendere l’alta formazione universitaria e la ricerca ancelle del potere politico. La reazione dell’ateneo di Harvard è stata netta: pur di tutelare la libertà accademica da interferenze del potere politico l’università ha rinviato al mittente le richieste di maggior controllo su studenti stranieri e sui contenuti della didattica e dei progetti di ricerca.

Harvard, in fondo, se lo può permettere: il bilancio complessivo dell’ateneo supera di poco i 7 miliardi di dollari; come comparazione teniamo conto che il "fondo di funzionamento ordinario" che finanzia tutte le università pubbliche in Italia, raggiunge i 9 miliardi di euro. Harvard è una realtà particolarmente ricca e solida, un punto di riferimento per ricercatori e studenti, e forse anche lo scoglio contro il quale può andare a sbattere la barchetta nell’amministrazione Trump nel suo tentativo di controllare l’alta formazione.

Questa ossessione di Trump per le università è peraltro una novità assoluta nella storia delle università Usa, che pure hanno conosciuto nel tempo fenomeni di omologazione politico-culturale (si pensi alla caccia alle streghe degli anni ’50) ma che non ha mai sperimentato un tale ricatto dal centro politico. Ricatto che seppur vestito con panni curiali e rispettabili (la lotta all’antisemitismo) si iscrive nel novero di quegli atti che gli autoritarismi e i totalitarismi di ogni colore hanno sempre esercitato nei confronti di università e istituzioni scolastiche: il controllo del sapere. Ciò che interessa a Trump alla fine è questo: eliminare ogni contenuto che suoni stonato all’ideologia "Maga", un misto di bigottismo e di conservatorismo sessista con segni di razzismo.

Negare i progetti e le misure per l’integrazione e le pari opportunità significa negare la diversità, quindi riportare tutto al vecchio canone Wasp (White, Anglosaxon, Protestant), che poi è la bandiera di Trump, nei suoi comportamenti pubblici e privati. Con questa politica il danno per l’amministrazione è duplice: da un lato non riuscirà a piegare istituzioni universitarie che hanno bilanci e influenza che vanno ben oltre quelli di molte realtà imprenditoriali che Trump crede di conoscere; dall’altro tagliando i fondi pubblici renderà ricerca e insegnamento più sensibili ai condizionamenti degli investitori che sicuramente università come Harvard riusciranno a trovare in autonomia. Con la scusa di una "ricerca più libera", Trump la rende paradossalmente più esposta.