Eretto accanto ad un aereo da combattimento, nella base dell’aviazione di Tel Nof (nel centro di Israele) il capo di Stato maggiore, il generale Herzi Ha-Levy, non ha lasciato ieri dubbi: "Dopo che quasi 200 missili sono stati lanciati verso Israele – ha affermato – noi reagiremo". L’attacco iraniano, ha assicurato, non ha intralciato le capacità offensive di Israele: "Siamo in grado di colpire ovunque nel Medio Oriente. Chi non lo avesse ancora compreso, lo comprenderà presto". I danni materiali provocati dall’Iran alle basi dell’aviazione sono contenuti, secondo fonti militari, e adesso sta ai vertici politici stabilire quando, dove e come reagire. Il gabinetto di sicurezza israeliano ha dichiarato di essere d‘accordo sul fatto che la risposta israeliana all‘Iran arriverà dopo il coordinamento con gli Stati Uniti. Channel 12 riferisce che la decisione prevede che Israele prima lavorerà per coordinarsi con gli Stati Uniti.
Secondo un analista esperto di Iran, Ran Zimmt, i dirigenti di Teheran possono aspettarsi almeno tre scenari: attacchi mirati di Israele contro basi militari o installazioni di sicurezza. Altrimenti Israele potrebbe colpire infrastrutture strategiche dell’Iran, in particolare legate alle esportazioni di greggio (mettendo però in moto un’allarmante reazione nei mercati internazionali). L’aviazione israeliana ha peraltro dimostrato ancora nei giorni scorsi la propria efficienza quando ha seminato distruzioni nello Yemen, a 1.800 chilometri di distanza, in due importanti porti e in due centrali elettriche. La terza opzione, quella più ovvia, è un attacco agli stabilimenti nucleari dove gli scienziati iraniani stanno registrando progressi costanti e allarmanti nell’intento di dotare il regime di un’opzione atomica.
Fra quanti si sono espressi per un attacco alle infrastrutture nucleari l’ex premier Naftali Bennett ("Ora che abbiamo indebolito Hamas e gli Hezbollah, l’Iran – ha detto – si trova più esposta. La Storia bussa alla nostra porta e dobbiamo agire. Dobbiamo cogliere il momento e distruggere il loro progetto nucleare") e anche l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman. Una quarta opzione, menzionata su alcuni media locali, riguarda attentati a figure di spicco del regime di Teheran. In questo contesto viene menzionata anche l’eliminazione del leader di Hamas Ismail Haniyeh (attribuita a Israele), avvenuta a luglio mentre era ospite in Iran in un palazzo dei Pasdaran.
Al di là delle intenzioni di Israele, anche al governo di Benjamin Netanyahu è chiaro che non potrà decidere in totale autonomia e che dovrà necessariamente sintonizzarsi con il presidente Joe Biden. A poche settimane dalle elezioni presidenziali, rilevano analisti israeliani, gli Stati Uniti non hanno certo intenzione di farsi trascinare in un conflitto regionale. Interrogato in proposito Biden ha riconosciuto che Israele ha il diritto di rispondere all’attacco ma ha detto di opporsi ad un attacco contro impianti nucleari. L’opzione migliore, ha aggiunto, è quella dell’inasprimento delle sanzioni economiche. Biden si accinge adesso ad affrontare la questione direttamente con Netanyahu, al telefono. Nei giorni scorsi il premier ha comunque illustrato la propria linea di pensiero in un messaggio al popolo dell’Iran: "Non consentite a un piccolo gruppo di fanatici di spezzare le vostre speranze e i vostri sogni. Quel regime vi conduce in un abisso. Per voi il momento della libertà è più vicino di quanto pensiate. Israele sta con voi". Ossia in qualsiasi azione offensiva che Israele si accinga ad intraprendere l’obiettivo sarebbe quello di scuotere il regime: ma in maniera tale da risparmiare nuove sofferenze alla popolazione dell’Iran e sprigionare una sollevazione che lo abbatta una volta per tutte.