Adesso, Donald Trump sarà costretto a fare campagna elettorale e non potrà più giocare a fare la vittima di una persecuzione. A meno che non punti direttamente alle dimissioni del presidente in carica (come hanno già chiesto diversi membri del partito repubblicano, tra cui il presidente della Camera Mike Johnson). Paradossalmente, il ritiro di Joe Biden toglie al tycoon un’arma potentissima. Per quanto negli ultimi giorni, Trump avesse già iniziato a insultare Kamala Harris, dicendo che "quando ride sembra una scema", ora, in qualche modo, cambia tutto anche per lui. Tanto che subito dopo l’annuncio fatto da Biden, il tycoon ha deciso di passare all’attacco. "Battere Harris sarà molto più facile. Biden verrà ricordato come il peggior presidente Usa della storia". C’è però anche la possibilità che i repubblicani decidano di andare all’affondo totale. Qualche giorno fa, James David Vance, l’ultra conservatore che il tycoon si è scelto come futuro, possibile, vice, aveva dichiarato che, se avesse deciso di non ricandidarsi, allora Biden avrebbe dovuto dimettersi anche dalla presidenza degli Stati Uniti. Quella che prima era una campagna contra personam, dunque, adesso potrebbe diventare ancora più assertiva in modo tale da arrivare alle urne del 4 novembre con il partito democratico legittimato nella sua interezza. Di certo, Trump si sente la vittoria in tasca e i toni moderati tenuti durante la convention repubblicana a Milwaukee, dove era stato incoronato da una folla in visibilio, sono già un lontano ricordo.
Quelli del comizio in Michigan sono stati ben diversi, con il candidato repubblicano che, dopo aver insultato Harris e l’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, si è messo a flirtare a distanza con alcuni dei dittatori più pericolosi del pianeta. Alla presenza del suo vice, James David Vance, il tycoon ha iniziato a lodare i leader a capo di Paesi estremamente autoritari, a iniziare dal nemico numero uno, ossia il presidente cinese, Xi Jinping. Di lui, in particolare, Trump ha detto che è "un uomo brillante, che controlla 1,4 miliardi di persone con un pugno di ferro".
I rapporti con Xi, decisamente tesi in passato, adesso sarebbero ottimi, tanto che il presidente cinese gli avrebbe anche scritto "un bellissimo biglietto" subito dopo il tentativo di attentato della settimana scorsa. Un altro leader a cui si sono rivolti i pensieri lusinghieri di Trump è niente meno che il presidente russo, Vladimir Putin. E questo è un particolare destinato a destare molte polemiche. Il candidato repubblicano è infatti accusato dai democratici di essere troppo in amicizia con lo zar. Un rapporto personale che per alcuni rappresenta un vero e proprio pericolo per la sicurezza nazionale. Di Putin, Trump ha detto che è un duro, una persona intelligente, che ama il suo Paese.
Ma c’è un altro leader che ha attratto le attenzioni del tycoon ed è il leader ungherese, Viktor Orban, nell’occhio del ciclone per la virata autoritaria che attraversa il suo Paese, per i muri contro i migranti e anche per le sue posizioni sull’Ucraina. "Orban ha ragione, dobbiamo avere qualcuno che sia in grado di proteggerci, al momento abbiamo persone con un basso quoziente intellettivo, in particolare il presidente Biden".
Ci sono poi i leader autoritari che non sono stati nominati da Trump, ma che hanno voluto subito fare sentire la loro vicinanza, perché probabilmente hanno capito che con loro la futura Casa Bianca potrebbe essere più morbida rispetto a quella attuale. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan ha mandato un messaggio molto caloroso al tycoon, complimentandosi per ha reagito dopo l’attentato.