Sono passati due anni dall’invasione dell’Ucraina. Dopo un periodo lungo di pace gli europei hanno dovuto accettare una realtà diversa: le tensioni politiche possono sfociare in conflitti armati, i nemici dell’Occidente sono pronti a combattere in modi molteplici, i nostri Stati devono abbandonare le concezioni legate alla globalizzazione pacifica e prepararsi per una fase in cui sicurezza e difesa tornano centrali. Si è rotta anche l’illusione che le sanzioni economiche bastino a prevenire le guerre o possano farle finire rapidamente. L’economia e la logica di potenza viaggiano purtroppo su binari differenti. Inflazione, costo dell’energia, diversificazione degli approvvigionamenti sono stati gli effetti tangibili sulla vita quotidiana ma sono forse la superficie di problemi più profondi delle nostre società. La politica è riuscita ad unirsi con fatica e ancor più difficile è garantire aiuti economici e militari all’Ucraina con continuità. I partiti europei hanno assunto posizioni diverse di fronte all’invasione, non c’è una precisa distinzione tra destra e sinistra, esistono partiti filo-russi o scettici verso la Nato in ogni schieramento e spesso dentro ogni coalizione di governo. Le resistenze degli elettori europei verso una maggiore assistenza militare a Kiev sono sempre più forti, rinfocolate anche da un alleato americano che questa volta sembra vacillare nel suo impegno militare quanto la vecchia Europa. Che succederà domani? Una vittoria di Trump costringerà gli europei a fare di più da soli, a riarmarsi e a produrre armi da mandare in Ucraina. Non farlo significa ridurre la deterrenza verso la Russia e rischiare anche attacchi diretti a paesi confinanti con l’Ucraina. Ciò dovrà accadere anche se con Putin si dovesse arrivare ad un accordo perché la sicurezza si può garantire soltanto con una combinazione tra consapevolezza politica e arsenale militare. Si vis pacem, para bellum.
EsteriLa pace è finita. Anche l’Europa dovrà armarsi