CESARE DE CARLO
PEACE keeping? Peace making? Military assistance? Ma perché non chiamarla con il suo nome? Questa è una guerra. Chi, come il nostro premier Renzi, si affida all’Onu e alla sua contestata inconcludenza, farà bene a scartare la terminologia della diplomazia internazionale quando si tratterà – al più presto speriamo – di definire il carattere di una missione militare. Questa è una guerra che noi non volevamo. Che abbiamo fatto di tutto per evitare nel solco della distinzione fra Islam moderato e Islam radicale. È una guerra «santa», come la battezzò Osama Bin Laden. E infatti è contro la nostra civiltà: occidentale, cristiana, libera, liberale. Ci fu dichiarata ben quattordici anni fa portando morte e distruzione in America e in Europa . Sembrava quasi vinta otto anni fa quando il generale Petraeus rovesciò le sorti dell’infelice invasione voluta da Bush e represse l’Al Qaeda irachena. Si riaccese quattro anni fa quando Obama ritirò tutte le truppe americane dall’Iraq. Decisione sciagurata, la definiscono i repubblicani. Portò alla rinascita di Al Qaeda e poi per germinazione maligna alla nascita dell’Isis in Siria. Il resto della storia è noto.
MEZZA Siria, mezzo Iraq, un quarto (per ora) della Libia sono sotto il controllo di un autoproclamatosi Califfato, il cui dichiarato obiettivo è far saltare il Vaticano con dentro possibilmente il Papa. Le anime belle, le stesse che quattro anni fa plaudirono alla stupida cacciata di Gheddafi, dittatore fin che si vuole, ma amico pentito, esortano a non drammatizzare. Censurano il linguaggio del più improbabile dei guerrieri, il ministro Gentiloni. Invitano a non sospendere i soccorsi in mare, dimenticando che sulla disperazione dei profughi speculano non solo gli scafisti ma anche i terroristi. E poi sembrano prese in contropiede dalla determinazione mostrata dal re di Giordania e dal presidente egiziano Al Sissi. Per i bombardamenti non hanno atteso l’autorizzazione dell’Onu. Tuttavia contro i tagliagole l’aviazione non basta. Lo sanno anche il piccolo vulnerabile Abdallah e il generale che un anno fa depose Morsi fra la riprovazione degli entusiasti di una primavera araba ben presto soffocata dall’integralismo dei Fratelli musulmani. Ci vogliono gli americani. E ovviamente anche gli europei, italiani in particolare.
DOVREMO assumerci le nostre responsabilità e «combattere», come azzarda Gentiloni. Dovremo promuovere un’operazione su modello Kuwait. Ricordate? Trentacinque Stati coalizzati. Il generale Schwarzkopf aveva a sua disposizione 600mila soldati perché – disse Colin Powell – una volta in guerra va usato il massimo della forza. Powell credette di avere esorcizzato il Vietnam. Sbagliava. Bush junior ci ricascò con l’escalation in Iraq e Afghanistan. E – sia detto fra parentesi – solo ora, di fronte alla frammentazione dell’Iraq, si capisce perché Bush senior non volle far fuori Saddam Hussein.
CHE FA invece Obama, leader dell’occidente? Esclude in partenza l’invio di truppe. E per questo motivo il Congresso repubblicano lo invita a fare sul serio se davvero vuole i poteri di guerra. Il nemico non è solo il Califfato. È anche l’Iran, che ha esteso la sua influenza su Siria, Libano, Yemen, mezzo Iraq. Il fatto che sia nemico del nostro nemico non ne fa automaticamente un amico. [email protected]