Roma, 19 ottobre 2024 – Una morte ‘eccellente’, che però non significa né la fine della guerra, né un più agevole rilascio degli ostaggi. Gli occhi di tutti sono puntati su cosa farà Hamas, ma anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che pure ha riportato una vittoria simbolica importante, si trova in una situazione di difficoltà. Una recrudescenza del conflitto allontana dalla liberazione delle 101 persone ancora in cattività, con la conseguente irritazione di quella parte di opinione pubblica israeliana che vuole la fine del conflitto. Maria Luisa Fantappiè, responsabile Programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) spiega come ora si apra una nuova fase. Uno scenario su cui si possono fare ipotesi, ma una previsione è impossibile.
Fantappiè, Sinwar è morto. Cosa succede ora?
“Hamas non sarà più quello di prima del 7 ottobre 2023, ma pensare che possa finire la guerra è un errore. La leadership di Hamas sulla Striscia è decimata, ma c’è ancora. In secondo luogo, Sinwar è morto fra la gente e le macerie di Gaza mentre combatteva. Il messaggio che passa è che è morto come l’ultimo combattente, il baluardo della resistenza. Non si ha poi ancora un piano chiaro su chi governerà la Striscia. Si possono solo fare ipotesi e non è detto che siano corrette. Le opzioni sono tutte aperte”.
Come cambia la situazione degli ostaggi dopo questa ‘morte eccellente’?
“Hamas ha ancora 101 ostaggi nelle sue mani. La morte di Sinwar non vuole assolutamente dire che ci sarà un negoziato più semplice sulla loro sorte. Anzi. Gaza è completamente distrutta. I leader più importanti sono stati uccisi. L’unica ‘controparte’ che rimane nelle mani dell’organizzazione, sono proprio gli ostaggi. Mi viene difficile pensare che vengano ceduti con difficoltà”.
La morte di Sinwar segna comunque un turning point per tutti, anche per Hamas. Come evolverà l’organizzazione?
“La morte di Sinwar rende più debole quelle fazioni di Hamas che vedevano come strategica la collaborazione del movimento con la Repubblica Islamica dell’Iran e i suoi alleati. Questa corrente si aspettava una difesa attiva da parte di Teheran e dei movimenti ad essa associati in Palestina che c’è stata solo in parte. La morte di Sinwar potrebbe quindi lasciare più spazio ad altri leader e correnti con una visione diversa dei legami che il movimento intrattiene a livello regionale. Parliamo dell’altro fronte, quello libanese”.
La morte di Sinwar può avere ripercussioni anche su questo?
“In qualche modo, ci sono due guerre in corso, solo in parte interconnesse fra di loro. Quella di Israele a Gaza contro Hamas e quella tra Israele e il suo rivale principale, l’Iran, e i suoi alleati dell’arco della resistenza sciita, in primis Hezbollah. Un cessate il fuoco e un rilascio degli ostaggi non è necessariamente premessa per una fine delle ostilità tra Israele e l’arco sciita. Quella è una guerra di lungo periodo. Poi, ad oggi, Hezbollah è molto più interessato a preservare il suo ruolo e la sua sopravvivenza in Libano. Nelle ultime settimane hanno dato segni di escalation chiari con attacchi su Israele. Il movimento, insomma, ha propri interessi e priorità”.
Il premier Netanyahu esce vincitore da questa operazione. È vera gloria?
“Netanyahu ha guadagnato una vittoria importante dal punto di vista simbolico che può rivendere alla propria opinione pubblica interna. Ma deve mettere in conto che questa vittoria potrebbe ritorcerglisi contro. Adesso una parte dell’opinione pubblica premerà per risultati concreti sul rilascio degli ostaggi. In qualche modo la fine di Hamas potrebbe costringere Israele a definire in modo più chiaro obiettivi strategici e tempistiche di questa guerra”.