New York, 26 gennaio 2021 - Nessuno lo ha dimenticato. L’uomo, l’atleta, l’imprenditore. Le manifestazioni di oggi in tutto il mondo sono il segnale che la sua leggenda non solo è viva ma continua. Non solo perché è stato un genio del canestro, ma anche uno degli atleti più astuti e geniali degli ultimi venti anni. Un fenomeno che è riuscito a sviluppare la sua fama, la sua immagine e il suo brand anche fuori dal terreno di gioco.
Kobe Byant valeva col suo impero di marchi e investimenti rimasto intatto oltre 2 miliardi di dollari (secondo Forbes) quando il suo elicottero il “mamba Chopper” si è schiantato uccidendo lui e la figlia insieme ad altre 7 persone sulle colline di Los Angeles esattamente un anno fa.
In due decenni ai massimi livelli della NBA soltanto in salari ha accumulato oltre 700 milioni di dollari netti. Con le sponsorizzazioni di Nike, Hublot e Panini altrettanti. Ma è stato con gli investimenti e le start up insieme al socio Jeff Stibel che sono arrivati i grandi numeri e le formidabili idee.
Kobe si muoveva come un grande manager col suo elicottero personale, trasformatosi nell’arma che lo ha ucciso, per combattere i dolori al tallone d’Achille e non essere costretto a rimanere in macchina per ore nel traffico di Los Angeles. Aveva tre stupende ville nel verde e sull’oceano nelle quali alternava la sua residenza e cercava nuovi spunti per le sue avventure imprenditoriali. Nel 2016 l’anno del suo ritiro, sempre Forbes lo aveva classificato come il numero 33 in America nell’elenco dei più ricchi imprenditori sotto i 40 anni.
La voglia di fare e insegnare alle giovani generazioni la passione per lo sport e gli affari era incontenibile. Un grande atleta non muore quando ha finito la sua carriera, ma semplicemente ne apre un’altra o la continua se era già iniziata. L’investimento nel website “The Player Tribune” con la diffusione di eventi sportivi a pagamento è uno dei tanti esempi fortunati, ma anche la società editrice che stampa storie da raccontare ha avuto un enorme successo. Per non parlare della società di avvocati digitali “Legal-Zoom” che raccoglieva per consulenze in rete, molto prima del Covid, e della telemedicina, decine di principi del foro americani e internazionali diventando di fatto un colosso in diversi paesi.
Le sue intuizioni visionarie, sono uscite dai confini degli Stati Uniti con una forte partecipazione azionaria nel colosso cinese di Alibaba e in Spopeley specializzato nel design dei game per il telefonino. Bryant ha capito con largo anticipo che se il volto, il fisico e i canestri sono una quasi inesauribile miniera pubblicitaria fino a quando il successo regge, per mantenerlo soprattutto a livello economico serve una rete solida e la figura del semplice testimonial è una scuola di pensiero che non basta più.
Per quello Kobe anche quando giocava ha deciso di diventare un imprenditore a tempo pieno, di comprare e vendere attività come la società di bevande “Bodyharmor” nata dal nulla e ceduta per centinaia di milioni di dollari alla Coca Cola.
Ma la vita di Bryant e della moglie Vanessa non è stata solo ricchezza lusso canestri, affari e famiglia. Insieme hanno donato milioni di dollari al National Museum of African American History and Culture, e fondato 8 associazioni benefiche per aiutare i giovani atleti e studenti in difficoltà economiche a completare gli studi e approfondire la “Mamba mentality” una sorta di teoria della concentrazione assoluta sui progetti che si stanno realizzando sia in campo sportivo che accademico. Ma anche una filosofia di vita e di resistenza che va insegna ai bambini con i quali Kobe e Vanessa hanno lavorato spesso attraverso le associazioni come “Make a Wish Foundation” diventate presto entità nazionali.
E dalla grande ricchezza alla grande povertà l’impero del re del canestro era diventato un enorme sostegno per i doposcuola dei bambini delle periferie americane di ogni razza e una fonte di speranza per le centinaia di migliaia di senzatetto sparsi in tutti gli Stati Uniti. Sono tante le ragioni per non dimenticarlo come atleta e come uomo.