Roma, 26 marzo 2024 – Pietà l’è morta sotto le bombe. "Non ero felice, ma neanche triste quando ho saputo dell’attentato terroristico a Mosca, forse ho chiuso il mio cuore". Nataliia Kavetska, 34 anni, ucraina, non finge compassione. Sa che sta scolpendo parole che feriscono l’umanità di chi le ascolta. Ma non ha lacrime per piangere i nemici. "Ho visto troppe vite cancellate dai russi; anche la mia era bellissima prima di questa guerra", dice. Per 8 mesi si è rifugiata in Italia, dove ha lavorato come mediatrice linguistico-culturale negli Spazi Donna della Ong WeWorld. Poi ha deciso di tornare in patria, a Kiev, dove collabora con la ministra per i Servizi sociali. Proprio sulla capitale in queste ore si sta abbattendo la furia di Mosca.
Che mattinata è stata quella di ieri?
"Lavoravo da casa perché avevo un po’ di febbre, mal di testa e raffreddore. Mentre ero in videoconferenza con una mia collega in Germania, sono stata interrotta da un rumore fortissimo. Ho dato un’occhiata dalla finestra e ho visto una parte del palazzo vicino che volava via".
A quel punto cosa ha fatto?
"Come ci hanno consigliato le autorità, sono andata nella stanza della casa con le pareti più solide, cioè il bagno".
Non c’era tempo per raggiungere il rifugio?
"Di solito quando suona l’allarme abbiamo dieci o dodici minuti per spostarci prima che cada il primo missile, ieri no. Ieri dopo un minuto era già cominciato il bombardamento".
È stato il più forte dall’inizio del conflitto?
"Sì, non avevo mai assistito a un raid così massiccio".
Quanto tempo è durato?
"Cinque o sei minuti, ma l’allarme è andato avanti per un’ora. Così a un certo punto mi sono rifugiata in metropolitana. Nel tragitto mi sono imbattuta in una scena difficile da spiegare a chi non vive la realtà della guerra quotidianamente".
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Ce la racconti.
"A tre o quattro fermate dai quartieri che venivano bombardati c’era una ragazza che suonava la chitarra. E intorno a lei persone che camminavano e sorridevano. Distruzione e gioia, due mondi che non è facile mettere d’accordo. Ma la gente ucraina desidera sopravvivere".
La speranza è ancora il sentimento prevalente?
"Qualcosa sta cambiando in questo momento, la speranza sta venendo meno. Le nostre vite sono sospese. Da qualche tempo i giornali non parlano più di vittoria. L’altro giorno mi ha telefonato una mia amica che abita a Leopoli e mi ha detto: “Ho il cuore vuoto, non ho più voglia di vivere”".
La Russia sta intensificando gli attacchi negli ultimi tempi?
"Sì, adesso ogni giorno suona l’allarme. Non solo ad Est o qui a Kiev, ma anche a Leopoli, al confine con la Polonia. Due settimane fa non era così".
Dopo l’attentato di Mosca avete temuto che Putin incolpasse l’Ucraina e aumentasse la pressione bellica?
"Abbiamo pensato che ci potessero essere conseguenze, ma non abbiamo una visione chiara delle cose. Non riusciamo a pensare in maniera lucida. Da una parte siamo abituati a convivere con la guerra, che è già una cosa orribile da sperimentare e da dire; dall’altra siamo comunque terrorizzati. Sembra una contraddizione, non lo è".