Martedì 16 Luglio 2024
ALESSANDRO BELARDETTI
Esteri

Testimone della strage nel kibbutz: "Li hanno ammazzati dentro i loro lettini. Hamas? Solo bestie"

La psicologa Shpirer abita vicino all’insediamento Kfar Aza. "Hanno ucciso brutalmente anche due miei cugini e un nipote"

Roma, 10 ottobre 2023 – Lei era lì, a pochi chilometri dal kibbutz di Kfar Aza, dove sono stati trovati i corpi di 40 bambini decapitati. In quell’insediamento Yafi Shpirer ha perso anche due cugini, Orly Pinko e David Shwartzman.

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"È stato un incubo, i terroristi sono entrati per massacrare bambini, che dormivano nei lettini, e donne in tutte le case. Hanno usato i bambini come cavallo di Troia per parlare e far aprire le abitazioni ai vicini. Le sirene hanno suonato e ci siamo nascosti nel rifugio che abbiamo. Nei gruppi WhatsApp abbiamo iniziato a ricevere notizie di rapimenti. Ci hanno detto che c’erano terroristi che pattugliavano una strada a 200 metri dalla mia cucina. Ogni kibbutz ha un’unità di difesa, nel nostro caso una ventina di giovani che sono usciti per proteggere le case e sono morti. Poi hanno ucciso tutti, sono state ore angoscianti fino all’arrivo dell’esercito. Sono animali venuti per distruggerci".

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Psicologa argentina, sposata con un israeliano, madre di tre figli e nonna di cinque nipoti, Yafi vive da 46 anni a venti chilometri dalla Striscia di Gaza, insieme ad altre 200 famiglie, nel suo kibbutz, la sua colonia agricola. "Ho combattuto tutta la mia vita per una convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi e ora sono terrorizzata", spiega. Ha visto morire per mano dei terroristi anche un nipote di 35 anni, Tomer Shpirer, nel kibbutz Mefalstim.

Come sta, Yafi?

"La prima risposta è che sto sopravvivendo, la seconda è che vivo un incubo che non finisce più. La terza e che non so cosa devo vivere: la mia casa trema a causa dei missili e dei bombardamenti che risuonano intorno a me. Dopodomani compio 64 anni, ma non festeggerò nulla. Sono stanchissima, triste, spaventata e demoralizzata".

Ieri hanno trovato 40 corpi di bambini, molti decapitati. Come possono gli uomini uccidere bambini in questo modo?

"Non sono uomini, sono f… nazisti. Non hanno nessuna empatia, seguono ideali assurdi. È stato un disastro, siamo abituati ai missili, è un’usanza diabolica, un’invasione del terrore. Ormai so distinguere perfettamente il ronzio dei proiettili di Hamas dall’artiglieria israeliana, ho ascoltato gli scambi militari per così tanto tempo".

Ricorda le ultime parole che le ha detto suo nipote Tomer?

"Nulla di particolare, non ci vedevamo ogni giorno, ci sentivamo per gli eventi della famiglia".

Cosa gli è successo?

"La sera del 7 ottobre dopo gli attacchi ho provato a chiamarlo per sapere come stava, ma non mi ha mai risposto – si ferma commossa a piangere –. Così ho pensato che non gli andasse la connessione, in realtà non era così. Allora mi ha chiamato mio cognato dicendomi che il suo telefonino era nelle mani degli arabi. Il giorno successivo mi è stato raccontato che lo avevano ucciso mentre era seduto nella sua auto e cercava di tornare a casa".

Lei è una psicoterapista, come si affrontano questi traumi?

"Nulla sarà più come prima, la società va ricostruita dalle fondamenta. Non so se è possibile superare un trauma del genere, ma dobbiamo provare a controllarlo, conviverci. A livello collettivo è una tragedia, ci saranno fantasmi e crisi di panico per anni. Servirà uno sforzo di tutti, bisogna avere il coraggio di parlare e di fronteggiare gli incubi".

Crede che la guerra sarà lunga?

“Non solo lunga, ma anche devastante per tutti. C’è un fortissimo sentimento di vendetta tra di noi. Giusto o sbagliato? È una reazione naturale. I terroristi hanno attaccato tutti, anche palestinesi. È una guerra peggiore dello Yom Kippur del 1973, scoppiata tra l’altro negli stessi giorni di ottobre. Ora non eravamo preparati. Vedo parallelismi con l’Ucraina, anche se qui molti dei terroristi sono ragazzini di 17 e 18 anni il cui unico desiderio è distruggere il popolo ebraico”.

È possibile abituarsi agli attacchi terroristici?

“Sapere come reagire o mettersi in modalità pilota, come gli aeroplani, è ciò che abbiamo imparato inconsciamente, ma non tutto è resilienza. Anche se la maggior parte delle volte è un paradiso vivere qui, perché abbiamo le spiagge più belle, una comunità che vuole crescere, ma di tanto in tanto abbiamo questi disastri che pesano sulle nostre teste”.

C’erano segnali di un attacco così devastante?

“Nelle ultime due settimane c’erano più combattimenti nella Striscia, si percepiva una tensione maggiore”.

Lei e la sua famiglia lascerete Israele?

“Non penso di andarmene per due semplici ragioni: i miei suoceri sono qui e hanno 90 anni e non li lasceremo, e mio marito è un lavoratore autonomo, agricoltore e non può abbandonare tutto. Non restiamo perché vogliamo morire per questo posto, ma perché adesso accompagniamo gli anziani, la solidarietà è enorme, le case e gli alberghi sono aperti ma per ora resto qui”.