La telefonata di congratulazioni a Donald Trump per la vittoria Kamala Harris l’ha già fatta. Il 6 gennaio, giorno della certificazione del voto dei grandi elettori, non ci sarà nessun assalto al Campidoglio e il 20, gli ha assicurato, avverrà "un pacifico trasferimento di potere" da Joe Biden al tycoon. A metà giornata, le 22,30 in Italia, Harris torna inpubblico, nella sua Howard University, a Washington, eribadisce il concetto. Ma avverte: "Accetto la sconfitta ma non la fine della lotta per la nostra libertà. Noi siamo fedeli non a un presidente o a un partito ma alla Costituzione degli Stati Uniti". E ha chiuso: "Solo quando fa buio si possono vedere le stelle".
Il ripetersi di una sconfitta così sonora e imprevedibile come accadde nel 2016 con Hillary Clinton, ha scatenato immediatamente la caccia ai responsabili, agli errori di strategia e alla ricerca del capro espiatorio. Dallo staff di Harris si punta il dito contro Joe Biden il quale avrebbe aspettato troppo a lasciare la corsa visto il rapido deteriorarsi delle sue sempre più debilitanti condizioni di salute. Trump spinto e finanziato da Elon Musk ha investito invece centinaia di milioni nella pubblicità contro i trasgender, gli immigrati clandestini da deportare e il costo troppo alto della vita. Questo ha funzionato. Tutti lo hanno capito e gli stessi latinos, anche loro ex immigrati, lo hanno votato ribaltando ogni pronostico.
L’agenda di Kamala con la protezione dei diritti della donna, la difesa dell’assistenza sanitaria, l’aumento dei salari, il coinvolgimento dei sindacati era quella più vicina ai bisogni di un ceto medio che fatica a pagare l’affitto e non può comprarsi una casa, ma è stata accantonata. Le donne hanno votato, ma non sono corse in massa ad appoggiare Kamala come ci si attendeva così come i ’Republicans for Harris’ non sembrano aver avuto un peso rilevante. Nemmeno i giovani l’hanno seguita troppo.
Kamala ha perso perché la gente non l’ha considerata abbastanza solida ed ha preferito un Trump sguaiato e senza freni che forse non metterà in pratica tutte le minacce e le vendette che ha promesso dalle provocazioni economiche ai super dazi. Può essere facile dire che l’America non è ancora pronta per un presidente donna, ma alla fine si è rivelato miseramente vero. La sua agenda piena di diritti, dalla salute alla donna, dalla scuola ai salari è stata ignorata. Trump ha stravinto e questa volta non più a sorpresa, ma conquistando anche il voto popolare con alcuni milioni di consensi in più rispetto alla rivale. Ha fatto breccia sulla popolazione latinos e anche in quella italo americana. Soprattutto anche in Stati profondamente blu come New York la percentuale dei repubblicani stretti intorno al tycoon e al suo partito/famiglia è cresciuta.
Si sono appassionati all’idea di avere al fianco del presidente l’uomo più ricco del mondo Elon Musk che regalava 1 milione di dollari al giorno con la lotteria e 100 dollari per compilare una scheda a favore del Tycoon in Pennsylvania. Non ci sono stati brogli o disordini ma solo deboli minacce. Il voto è stato trasparente e chiaro. E quasi cinque milioni di voti in più non possono lasciare dubbi.
I democratici americani hanno bisogno di rifondarsi e di capire con precisione chi intendono rappresentare. Oggi i lavoratori americani sono divisi e tanti hanno deciso di stare con Trump diventato famoso in un programma televisivo nel quale licenziava tutti. Dopo il Covid il partito dem per tutti non ha saputo leggere con attenzione il cambiamento profondo del Paese e degli elettori Che hanno visto crescere insieme ai grandi profitti di pochi la spinta inflattiva per tutti.
Kamala voleva tassare i miliardari e Trump invece premiarli. Voleva proteggere la classe media e almeno merita l’onore delle armi. La democrazia americana forse non è più in pericolo. Harris in 90 giorni ha fatto quello che ha potuto, e se ci fosse stata una convention aperta invece della sua nomination rapida, poteva essere addirittura un successo dem.