Domenica 17 Novembre 2024
RICCARDO JANNELLO
Esteri

L’alpinista Kristin Harila, lo sherpa lasciato morire sul K2 e il record di scalate. Cosa è successo

Alcuni scalatori l’accusano di non aver soccorso il portatore pur di portare a termine la sua impresa: conquistare tutti gli 8.000 asiatici in 92 giorni

Cosa significa un record di fronte alla morte? Una domanda che probabilmente l’alpinista sami Kristin Harila (nata nella regione norvegese della Lapponia in cui è considerato errore chiamare lappòne la popolazione) non si è posta pur di giungere, il 27 luglio scorso, più in fretta di tutti gli altri in cima alla quattordicesima e ultima vetta oltre gli Ottomila metri – compresi nei territori di Cina, Nepal, Pakistan e India – e nella sua corsa al primato assoluto di alpinista più veloce della storia che apparteneva al nepalese Nirman Purja.

La scalatrice norvegese Kristin Harila
La scalatrice norvegese Kristin Harila

Scalando il Karakorum 2 - per tutti K2, seconda vetta al mondo con i suoi 8609 metri di altezza, violato la prima volta il 31 luglio 1954 da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli nell’impresa organizzata da Ardito Desio – Kristin, 37 anni, avrebbe scavalcato un suo sherpa morente, Mohammed Hassan, e continuato l’ascensione senza prestargli soccorso.

Due scalatori austriaci che si trovavano sulla montagna – ogni anno vi salgono circa 200 persone – hanno filmato l’episodio nel quale si vede l’alpinista norvegese e un altro sherpa, Tenjen Lama, proseguire senza guardare ciò che passa sotto i loro piedi.

Un video che fa accapponare la pelle e rende l’impresa della Harila – i 14 Ottomila in 92 giorni – molto meno epica.

Secondo le testimonianze di Wilhelm Steindl e Philip Flaemig, i due austriaci, “Hassan veniva soccorso da una persona, mentre tutte le altre procedevano verso la vetta anche se nella comitiva c’erano sherpa e guide che avrebbero potuto aiutarlo. Una cosa del genere sarebbe impensabile sulle Alpi. Hassan è stato trattato come un essere umano di serie B: nessuno si è sentito responsabile per lui”.

Venuta a conoscenza delle accuse, Kristin si è ribellata: “Abbiamo cercato di tirarlo su per un’ora e mezza e il mio cameraman è rimasto con lui un’altra ora per occuparsene, non è mai stato lasciato solo, ma viste le circostanze è difficile immaginare come potesse essere salvato. Hassan era caduto in quella che è probabilmente la parte più pericolosa della montagna, il Collo di bottiglia, a 8200 metri di altezza, dove portarsi dietro qualcuno è estremamente complicato sia perché il percorso è strettissimo sia per via della neve”.

La scalata al K2
La scalata al K2

Hassan fra l’altro sarebbe stato trovato senza guanti né giaccone né ossigeno supplementare. Aveva accettato il lavoro - dicono Steindl e Flaemig che sono stati a trovare la famiglia dello sfortunato portatore pakistano – pur non essendo abbastanza esperto a quelle quote perché la moglie è malata e ha bisogno di medicine costose

Thaneswar Guragai, il responsabile dell’agenzia che aveva organizzato la scalata di Harila, il gruppo Seven Summits, ha detto che di norma i portatori tentano di salvare le persone ferite in alta montagna, a meno che “non sia praticamente impossibile farlo”.

Ricordiamo la polemica che investì Reinhold Messner: il fratello minore Gunther morì scendendo il Nanga Parbat nel 1970 e lo scalatore altoatesino fu accusato di non avere fatto nulla per salvare il fratello. Solo dopo anni, nel 2005, il ritrovamento del corpo di Gunther preservato dai ghiacci provò che quello che aveva detto Reinhold a suo discapito era giusto: non aveva abbandonato il fratello, ma era la montagna che lo aveva inghiottito senza che nessuno potesse fare nulla.

In questo caso, probabilmente, Kristin un poco del nefasto destino di Mohammed lo ha sulla coscienza. La Harila è una scalatrice – ma già campionessa di sci di fondo e di cross-county - che fa della velocità la sua dote migliore. Ha voluto a ogni costo quest’ultima spedizione per togliere il record assoluto, visto che lei già aveva quello femminile, a Purja.

Kristin Harila in Nepal
Kristin Harila in Nepal

Ci aveva già tentato lo scorso anno e ora il tentativo è andato a buon fine, sempre per quel che riguarda il primato, non certo per l’etica della montagna. Inoltre considerando la spedizione del 2022, in un anno e tre mesi Kristin ha scalato 25 volte cime superiori agli Ottomila metri, e in otto ore è arrivata sia in cima all’Everest, la montagna più alta del globo (8848 metri), sia al Lhotse (8516). Sono anche altri i record di Kristin soprattutto nel bissare quote evelate con la stessa spedizione. La norvegese usa nelle sue salite l’ossigeno in quota come fanno molti degli scalatori ma non la nostra Nives Meroi, la sessantunenne di Bonate Sotto che sui 14 Ottomila è arrivata senza ossigeno supplementare e neppure portatori, quello sì un record che mai sarà scalfito dalle polemiche.

L’”impresa” della Harila, turbata dalla morte di Hassan, rimane invece nel mirino delle associazioni che difendono la montagna e soprattutto il complesso degli Ottomila asiatici; vedremo se il suo record dei 92 giorni (quasi tre mesi meno del precedente) sarà ufficializzato.

Anche perché gli sponsor battono cassa e non vogliono che il loro contributo di 15 milioni di corone norvegesi (quasi 1 milione e mezzo di euro) sia macchiato di sangue.