Roma, 10 dicembre 2024 – Un futuro tutto da scrivere, in un Paese, come la Siria, dove comporre un equilibrio fra le diverse anime non sarà facile. Lorenzo Trombetta, corrispondente dal Medio Oriente per Ansa e analista di Limes, spiega perché questa transizione sarà lunga e non priva di criticità.
Trombetta, Assad è caduto ed è a Mosca. Cosa succederà adesso?
“Gli equilibri, per adesso, sono una vittoria del fronte occidentale, rappresentato dalla Turchia e, indirettamente anche da Stati Uniti e Israele, che possono beneficiare della situazione. Gli iraniani si sono di fatto dissolti dopo aver subito cocenti sconfitte nel vicino Libano. I russi cercano di negoziare la loro presenza almeno nelle basi del Mediterraneo, quella navale di Tarsus e quella area vicino a Latakia”.
Come evolverà la situazione interna?
“Gli scenari sono aperti. Da una parte le Nazioni Unite chiedono un percorso di transizione ordinata che porti a nuove elezioni o alla riscrittura di una nuova Costituzione, il più inclusiva possibile. In realtà, sul terreno la Siria rimane divisa, frammentata in alcune zone politico-militari, dove rimangono anche gli eserciti di Turchia e Stati Uniti. Israele bombarda in continuazione. La frammentazione interna e regionale complica sicuramente il processo politico interno post regime. Uno scenario possibile è quello diciamo alla libanese, ovvero mantenere una sorta di unità fittizia, dove però i signori della guerra si riciclano in rappresentanti istituzionali, più presentabili, si spartiranno il potere su base confessionale ed etnica. E poi c’è lo scenario libico, che è di contrasto fra le componenti”.
Lei parla di forze filoccidentali, ma di fatto molti gruppi hanno una matrice jihadista islamista.
“Questi gruppi più o meno jihadisti radicali sunniti stanno provando ad accreditarsi con l’Occidente, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, ma anche con Israele, assicurando il rispetto di quelli che sono i paletti della strategia israelo-palestinese, ovvero indebolire il più possibile l’Iran. C’è poi la possibilità, con il cambio di regime, di fermare la produzione di anfetamine che è un problema particolarmente sentito nella regione del golfo. Stanno dando rassicurazioni alla Francia e all’Italia circa la protezione delle minoranze non sunnite, soprattutto i cristiani. L’orientamento è quello di dire “siamo qui, possiamo essere un partner dell’Occidente, anche se magari abbiamo idee politiche ed ideologiche non così popolari in certe capitali europee“.
Abbiamo descritto un quadro complesso. Quali sono le maggiori forze in campo, a parte ovviamente Abu Muhammad Jolani, che appare come il leader indiscusso, in questo momento?
“Sicuramente lui è il più sostenuto e quindi anche il più potente, con diverse ramificazioni. Ci sono i gruppi che provengono dalla regione di Daraa, al confine con la Giordania e il Golan occupato da Israele, che hanno svolto un ruolo significativo nel prendere Damasco fra sabato e domenica. Però loro sembrano più interessati a mantenere una loro autonomia, diciamo locale e non su scala nazionale. E poi ci sono i curdi, sui quali pare per ora ci sia il veto di Ankara per escluderli da questa fase di transizione politica. E c’è da capire quanto gli Usa siano interessati a mantenere una Siria sostanzialmente divisa a est e a ovest dell’Eufrate”.