Sabato 16 Novembre 2024
MARTINA STRAZZARI
Esteri

Chi era Joel Robuchon, chef perfezionista intransigente

La filosofia del grande gourmet: elogio della semplicità a tavola. Genio controcorrente, odiava la gastronomia inutilmente sofisticata

Joel Robuchon in cucina al Metropole Monte-Carlo (Afp)

Joel Robuchon in cucina al Metropole Monte-Carlo (Afp)

Parigi, 6 agosto 2018 - Le cose semplici spesso sono le migliori. Senza orpelli, puntando al sodo. Lo sapeva bene Joel Robuchon, che di un piatto domestico come il puré di patate aveva fatto la sua bandiera. Si è spento stamattina a Ginevra lo chef con più stelle al mondo (31 stelle Michelin) pioniere della Nouvelle Cuisine, che non ha mai nascosto di odiare la gastronomia inutilmente sofisticata.

"La cucina semplice è quanto di più complicato esista", era il suo motto. Le presentazioni dei piatti, capolavori di gusto e purezza, ne erano l'emblema. E poi, quel puré. Da tre decenni non c'era un solo dei suoi ristoranti in cui non fosse richiesto, e in barba alla tarte di tartufi, alla crema di cavolfiore al caviale, ai ravioli agli scampi. Da Tokyo, a Las Vegas, a Londra, e naturalmente a Parigi, era quella la burrosissima specialità che i clienti volevano. Burrosa, sì, perché se le ricette del puré prevedono dai 50 ai 100 grammi di materia grassa per chilo di patate, Robuchon dal canto suo ne utilizzava 250. Il paradiso della cellulite, ma pur sempre paradiso.

Ma lo chef, si narra, non era propriamente un angelo. Aveva la reputazione di collerico, esplosivo, perfezionista e intransigente. Ne è esempio l'episodio in cui lanciò un piatto in faccia al collega Gordon Ramsay, che all'epoca lavorava per lui, e che pare non avesse eseguito alla perfezione la ricetta dei famosi ravioli agli scampi. "Mi aveva fatto saltare i nervi con la sua arroganza", si giustificò il grande cuoco francese. "Lavorare per lui era come prestare servizio per le Special Air Service", ribatté Ramsay nella sua biografia 'Humble Pie'.

Visionario e pluripremiato, oltre alla cucina Robuchon si è dedicato alla divulgazione delle sue conoscenze culinarie, in una personale lotta per la "democratizzazione della nouvelle cuisine". Nei suoi ristoranti, e soprattutto nella formula degli 'Atelier' - più conviviali e meno ingessati dei soliti stellati - oltre ai profumi sublimi si respirava, e si respira, davvero un'aria fresca. Niente prenotazioni, cucina a vista, a metà tra i tapas bar spagnoli e i sushi giapponesi. Una doppia firma, questa, che oltre al puré conferma l'efficacia della semplicità come formula vincente, e - almeno in questo caso - forma d'arte.