
Jasmine Mooney
Roma, 19 Marzo 2025 – L’attrice canadese Jasmine Mooney, nota per il ruolo di Jackie nel film American Pie Presents: The Book of Love è stata arrestata dall’Ice (United States Immigration and Customs Enforcement), l’agenzia federale per il controllo delle frontiere per un visto di lavoro “sospetto” e detenuta per 11 giorni. Lo racconta lei stessa in un lungo intervento pubblicato su The Guardian. Mooney denuncia il trattamento disumano subito in cella. Per tutto il tempo della detenzione le è stato negato il diritto di parlare con un avvocato e nessuno le ha fornito spiegazioni sulla sua condizioni. Accade negli Stati Uniti, dove le misure che disincentivano l’immigrazione sono sempre più dure, anche a scapito dei diritti fondamentali.
Un arresto “senza motivo”
“Ero in ufficio a parlare con un ufficiale del mio visto di lavoro, che era stato approvato mesi prima, (...) un minuto dopo mi è stato detto di mettere le mani contro il muro e sono stata portata in un centro di detenzione”. Inizia così la lettera al Guardian di Jasmine Mooney . Nata in Canada, si descrive come una donna dalle mille risorse: ha recitato nel cinema e nella televisione, è stata manager di bar e ristoranti, ha gestito condomini per Airbnb. Ma quello con il mondo del benessere è stato amore a prima vista, un settore al quale ha deciso di consacrare la propria carriera. Una passione che paradossalmente l’ha portata a vivere una delle esperienze più traumatiche della sua vita.
Quando ha lanciato il suo brand Holy!Water, sulla scia della sua passione per la salute del corpo, ha deciso di spostarsi negli Stati Uniti per incentivare le vendite. La prima richiesta per ottenere un visto di lavoro non va a buon fine. Alla fine Mooney riesce a trasferirsi in California ma continua a tornare periodicamente in Canada, per lavoro e per piacere.
Va tutto liscio, fino a quando, un giorno, un ufficiale di frontiera in California trattiene il suo visto perché “sospetto”. E così l’imprenditrice viene bloccata, il suo permesso viene ritirato e lei è costretta a rientrare in Canada. Non si dà per vinta, e qualche mese dopo torna all’ufficio immigrazione di San Diego, al confine, per un nuovo visto. Un viaggio che si è rivelato un incubo. Jasmine viene arrestata senza nessuna spiegazione. Inizia il suo calvario.
La vita nei centri di detenzione
“Sono stata portata in una piccola cella di cemento, ghiacciata, e con luci a led”. Con lei ci sono altre cinque donne sdraiate sul pavimento e riscaldate solo da una coperta isotermica in alluminio. Il cibo è scarso e le luci non vengono mai state spente: in quelle condizioni è facile perdere la cognizione del tempo.
Al terzo giorno le viene concesso di effettuare una chiamata. Dall’altra parte del telefono, c’è la sua migliore amica, Britt, preoccupatissima per l’improvvisa scomparsa dell’imprenditrice.
A questo punto Jasmine viene trasferita in un altro centro detentivo, anche in questo caso senza alcun chiarimento sul perché trattassero lei e altre donne come pericolose criminali. Le viene data un’uniforme carceraria e gli agenti le prendono le impronte digitali. Poi, l’ennesimo trasferimento nel giro di pochi giorni, questa volta in una vera e propria prigione.
In quei giorni di sconforto e paura, Mooney ha avuto modo di confrontarsi con altre donne, detenute in condizioni che definisce disumane: tutte avevano avuto problemi con il visto. Alcune di loro sono state arrestate nel bel mezzo della strada, altre nel luogo di lavoro, chi nella tranquillità della propria casa. "Sembrava che fossimo state rapite, gettate in una sorta di esperimento psicologico mirato a spogliarci di ogni briciolo di forza e dignità”. Per Jasmine l’incubo della detenzione è durato 11 giorni, ma i meno ‘fortunati’ restano mesi in balia di una burocrazia che sembra averli dimenticati.
Un sistema “crudele”
Jasmine punta il dito contro i CoreCivic (centri di detenzione privati negli Stati Uniti), finanziate direttamente dal governo statunitense in base al numero di persone che detengono. “Più sono i detenuti, più soldi fanno. E’ ovvio che queste aziende non abbiano alcun incentivo a rilasciare rapidamente le persone”. Denuncia un sistema crudele, che tratta gli esseri umani come pedine dalle quali trarre il maggior profitto. Ma anche in queste condizioni, rimane sempre un barlume di umanità. Jasmine racconta infatti che “anche nei luoghi più bui, all’interno dei sistemi più rotti, l’umanità persiste. A volte, si rivela nei più piccoli e inaspettati atti di gentilezza: un pasto condiviso, una preghiera sussurrata, una mano che si tende verso di te nel buio”.