Ancora Shama, ancora preso di mira il quartiere generale del contingente italiano e del settore Ovest di Unifil, nel sud del Libano, due attacchi nel giro di tre giorni. Prima un proiettile d’artiglieria calibro 155 inesploso è caduto sulla palestra della base, ieri otto razzi da 107 millimetri sono impattati sul magazzino e su alcune aree all’aperto, in una giornata ad alta tensione per l’intera forza d’interposizione Onu nel Paese dei cedri. In entrambi i casi non si sono registrati feriti, anche se stavolta cinque nostri soldati sono finiti sott’osservazione in infermeria. In totale sono 1.200 i militari italiani impegnati nella missione su un totale di 10.500 uomini e donne in arrivo da 46 Paesi per supervisionare il ritiro dal Libano meridionale d’Israele.
Proprio Tel Aviv, anche per questo secondo attacco al nostro quartiere generale – dopo il primo di cui è stata chiarita la sua responsabilità –, è stata la prima sospettata. A caldo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a margine del Consiglio di Difesa a Bruxelles, ha puntato il dito contro Israele: "C’è stato un attacco nuovo, sono caduti tre razzi su Shama (se ne sono contati poi otto, ndr): è intollerabile. Ho cercato e non l’ho trovato, lo cercherò adesso, appena uscirò da questo edificio, il mio nuovo collega israeliano, per ribadire quello che avevo già ribadito a Yoav Gallant, cioè che le basi di Unifil sono basi che, intanto, rappresentano una missione Onu internazionale, ma poi sono di Paesi che sono amici di Israele. Non possiamo più tollerare che questi errori si ripetano con questa frequenza".
Fonti locali libanesi tuttavia si sono affrettate a precisare come i razzi da 107 millimetri siano in dotazione ad Hezbollah. Quanto basta al ministero della Difesa per aggiustare prima il tiro: "Sono in corso gli accertamenti per determinare il punto di partenza dei colpi e individuare i responsabili". In serata fonti interne allo stesso dicastero hanno definitivamente scagionato Tel Aviv e addossato la colpa su Hezbollah.
Proprio i miliziani filo-iraniani sempre ieri hanno colpito un’altra base Unifil, stavolta a Ramyeh, nel Libano meridionale, provocando feriti e danni alla postazione. Il razzo è stato lanciato dalla zona di Deir Aames ed era diretto verso Israele. La fonte è l’Idf che si tira fuori per entrambi gli attacchi ai caschi blu nel sud del Paese. In una nota la stessa forza d’interposizione delle Nazioni Unite ha poi chiarito che a rimanere feriti a Ramyeh sono stati quattro peacekeeper ghanesi, tre dei quali trasportati all’ospedale di Tiro per le cure del caso. Nello stesso comunicato si fa menzione di un terzo attacco contro Unifil, avvenuto ieri, stavolta ai danni di una pattuglia in transito nel villaggio di Khirbat Silim, nel quadrante nord-est del Libano. In questo caso nessun casco blu è rimasto ferito, ma è evidente quanto ormai la situazione per i soldati dell’Unifil, dislocati nel Paese dal 1978, sia sempre più allarmante. Ne sa qualcosa l’Argentina che ha deciso di ritirare il proprio contingente militare.
L’attribuzione dell’attacco a Shama alle milizie di Hezbollah rappresenta la prova provata di una spaccatura interna ai miliziani sulla tregua in Libano attesa per gennaio, poco prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, in agenda il 20. Il tutto mentre gli stessi alleati di Teheran registrano la perdita del loro comandante dell’unità missilistica nel sud del Libano, Ali Tawfiq Douek, ucciso in un attacco aereo dell’Idf sul villaggio di Jouz. Nel suo curriculum più di trecento razzi lanciati contro Israele.