Roma, 14 ottobre 2024 – Ormai la Blu line, il confine teorico tenuto dall’Unifil tra Israele e Libano, è diventata una linea rossa di bombe, razzi e sangue, ampiamente oltrepassata dalle due parti in lotta, Stato ebraico ed Hezbollah che combattono sotto gli occhi dei caschi blu costretti ad osservare lo spettacolo asserragliati nei bunker.
Coperti e allineati. Qui vale la legge del più forte e dei tank israeliani Markava. Giornata turbolenta, ieri, che ha scatenato reazioni a raffica. Il premier israeliano Bejamin Netanyahu ha rinnovato l’ultimatum a Unifil, “spostatevi a nord”, e due tank israeliani Markava poco prima dell’alba hanno tirato giù il cancello di una postazione Onu a Ramyah. Israele non vuole le Nazioni Unite tra i piedi nell’area sud dove la missione è annientare una volta per tutte le basi dei terroristi.
La premier Giorgia Meloni deve aver contato fino a cento per restare calma prima di protestare al telefono con Bibi Netanyahu. Ha ribadito “l’inaccettabilità che Unifil sia stata attaccata dalle forze armate israeliane, perché la missione agisce su mandato del Consiglio di sicurezza per contribuire alla stabilità regionale”. Palazzo Chigi spiega che la premier “ha sottolineato la necessità che la sicurezza del personale di Unifil sia garantita”.
Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto batte i pugni sul tavolo: “Il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Luciano Portolano, su mia richiesta si è messo in contatto con il suo omologo israeliano, Herzi Halevi, ribadendo la necessità di evitare ulteriori azioni ostili”.
Tre punti su tre oltre a un quarto, un fortissimo sdegno, accomunano le posizioni di Elly Schlein e Giuseppe Conte che chiedono all’unisono di andare al di là delle semplici condanne. “Il governo sostenga la posizione già espressa da altri leader europei per fermare ogni esportazione di armi a Israele – l’appello della segretaria dem –. E riconosca subito lo Stato di Palestina come già hanno fatto altri paesi europei”. Il leader del Movimento è, se possibile, ancora più duro: “Quando si apriranno gli occhi e si deciderà di fermare i crimini di guerra del Governo Netanyahu? Non sono bastati 12 mesi di sistematico sterminio della popolazione palestinese e di certosina distruzione di Gaza?”.
Il sentimento dei militari italiani è affidato alle parole del generale Portolano. “Hanno adottato un comportamento estremamente professionale evitando un’escalation le cui conseguenze non è facile determinare. I soldati italiani, oltre al coraggio fisico, hanno mostrato coraggio morale: cioè la forza d’animo di assumersi la responsabilità derivante dal compito assegnato. La missione Unifil non è neutrale, ma imparziale”. E ribadisce un concetto: “La risoluzione Onu 1701 prevede di mettere in atto gli accordi di Taif e i contenuti di due altre risoluzioni che impongono il disarmo di tutti i gruppi armati: a sud del fiume Litani possono esserci solo le forze armate libanesi”.
In realtà alla Difesa sanno che per le truppe Unifil è anche previsto “il diritto all’autodifesa per garantire la propria protezione”. Facile a dirsi, difficile da mettere in pratica. Il capo di Stato maggiore ha parlato anche a Rai 3. “I nostri militari vivono una certa frustrazione dovuta al fatto che l’operatività è limitata dalla presenza degli israeliani in un’area sotto responsabilità delle Nazioni Unite. Una situazione che li costringe a rimanere fino a 5-6 ore al giorno nei bunker”.
Come ne usciamo? Ancora il capo della Difesa: “ll mandato della missione Unifil è adeguato. Non sono adeguate le regole di ingaggio, che non sono proporzionali ai compiti assegnati, tra cui la necessità e la capacità di disarmo dei gruppi armati come Hezbollah. La missione è stata accettata da entrambi i Paesi. La richiesta di ritiro dalle basi lungo la Linea Blu mi lascia perplesso e potrà essere implementata solo con una disposizione dell’Onu”. Tutto vero, ma la turbolenza rimane. L’Idf se ne frega delle risoluzioni Onu e va avanti a colpi di artiglieria e bulldozer.