Il popolo d’Israele scende in strada contro il governo di Benjamin Netanyahu. La barbara uccisione dei sei ostaggi israeliani che già a luglio avrebbero potuto tornare in libertà se il premier avesse siglato un accordo con Hamas sostenuto dai Paesi mediatori, ha scosso il Paese fin dalle fondamenta. "Da domani (oggi, ndr.) alle sei – ha detto il segretario generale della centrale sindacale ‘Histadrut’ Arnon Bar David a circa 100mila dimostranti convenuti a Tel Aviv, con un preavviso di poche ore – tutto Israele si ferma. Cessa il lavoro. Saranno chiusi i ministeri, i municipi, i porti, le banche, i trasporti pubblici. Le lezioni scolastiche saranno ridotte. L’aeroporto sarà chiuso dalle 8. Israeliani, nessuno al lavoro, tutti in piazza".
Per 11 mesi Bar David ha resistito alle pressioni di mobilitare i sindacati (alcuni dei quali, peraltro, sono vicini al Likud). "Ma adesso la forza dei lavoratori deve esprimersi in tutto il Paese. Tutti i responsabili alla sicurezza sono favorevoli ad un accordo" per la tregua a Gaza e lo scambio di prigionieri. "Non è possibile che riceviamo i nostri ragazzi in sacchi di plastica, a causa di interessi politici".
Un riferimento all’insistenza di Netanyahu di esigere il mantenimento del controllo sull’ Asse Filadelfia, il confine fra Egitto a Gaza, malgrado l’avvertimento del ministro della difesa Yoav Gallant che quella presa di posizione significava "una condanna a morte degli ostaggi". Quella di ieri a Tel Aviv è stata la manifestazione più massiccia dal 7 ottobre, il giorno del massacro. Il palco dei comizi allestito sul Begin Boulevard metteva i brividi. Sul lato sinistro tre bare avvolte dalla bandiera nazionale. Sul lato destro, altre tre bare con la bandiera nazionale. In mezzo, il leggìo degli oratori. "Netanyahu – ha urlato Einav Zingauker, una delle portavoci dei familiari degli ostaggi – stai giocando alla roulette russa con la vita di mio figlio Matan. Hai sacrificato sei ostaggi per garantire la integrità del tuo governo. Hai posto le loro teste sotto la tua ghigliottina". Nelle strade vicine, fra la stazione ferroviaria HaShalom ed i grattacieli Azriely la polizia era in allerta. Alcuni dimostranti sono stati dispersi con cannoni ad acqua perché avevano invaso una superstrada.
Da ieri la polizia ha un nuovo capo, uomo di fiducia del ministro per la sicurezza interna Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra ‘Potere Ebraico’. Consci che parole di fuoco avrebbero potuto innescare disordini (più volte Netanyau è stato definito ’assassino’), gli organizzatori hanno chiesto ai dimostranti di mantenere un ordine assoluto. Ma uno dopo altro, per oltre due ore, si sono seguiti interventi altamente emotivi. Fra questi, quello dell’attore Lior Ashkenazi, che ha ricordato che "lo spirito di Israele si fonda sulla tradizione di solidarietà maturata nei millenni della diaspora: ossia che un ebreo deve obbligatoriamente accorrere a salvare un correligionario in difficoltà. E questo non è il comportamento mantenuto da Netanyahu ed i suoi ministri". ’Shema’ Israel (Ascolta Israele) ha allora urlato l’attore, che si è chiesto dove fossero i leader ortodossi e come mai non fossero in piazza ad esigere da Netanyahu il salvataggio degli ostaggi.