Lunedì 28 Aprile 2025
REDAZIONE ESTERI

Israele scende in piazza. In 100mila per le elezioni: "Netanyahu dimettiti". Ma il premier tira dritto

Nessuna retromarcia neanche sull’esenzione alla leva per gli ultraortodossi. L’analista Fantappie: il governo perde consenso tuttavia le urne sono lontane.

Israele scende in piazza. In 100mila per le elezioni: "Netanyahu dimettiti". Ma il premier tira dritto

Bibi Netanyahu è sotto assedio, ma più è sotto assedio e meno molla. Anzi, allarga il conflitto da Gaza al Libano (contro Hezbollah) alla Siria (in chiave antiraniana). Il giorno di Pasqua sono scesi in piazza in 100mila a Gerusalemme davanti alla Knesset, il parlamento israeliano, per chiedere le dimissioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, elezioni anticipate e un accordo tra i leader di Israele che permetta di arrivare al rilascio dei 130 ostaggi ancora nella Striscia di Gaza.

"Staremo qui fino a mercoledì – ha detto Moshe Radman, uno dei leader della protesta – e prima di tutto vogliamo le elezioni perché pensiamo che questo governo non rappresenti più l’opinione pubblica". E ieri i manifestanti, che avevano lasciato sul posto un centinaio di tende, hanno ripreso le proteste con decine di migliaia di persone in piazza. Ma già domenica la replica del primo ministro era stata picche. "La richiesta di elezioni ora, un momento prima della vittoria, paralizzerebbe Israele per almeno sei mesi – ha detto – e paralizzerebbe i negoziati per liberare i nostri ostaggi, porterebbe a termine la guerra prima che i suoi obiettivi siano completamente raggiunti e il primo che festeggerebbe per questo è Hamas. E questo dice tutto".

Ieri la Knesset ha intanto approvato la cosiddetta ’legge Al Jazeera’, che conferisce al governo poteri temporanei per impedire alle reti di notizie straniere di operare in Israele se si ritiene che stiano danneggiando la sicurezza nazionale. La mossa è stata duramente criticata dalla Casa Bianca. "Non ci sarà libertà di parola per i portavoce di Hamas in Israele– ha commentato il ministro delle Comunicazioni israeliano Shlomo Karh – Al Jazeera sarà chiusa nei prossimi giorni".

Il governo sembra intenzionato a resistere anche alla sentenza della Corte Suprema che imponeva all’esecutivo di mettere fine alla esenzione dalla leva per gli ultra ortodossi che studiano la Torah nelle Yeshiva, le scuole religiose: l’anno scorso ne hanno beneficiato in 66mila. Il governo non ha presentato un piano di riforma e così la Corte ha deciso che da ieri dovrà cessare di finanziare gli istituti almeno per la parte di finanziamenti che riguarda gli studenti fino a 26 anni. Ma ancora una volta Netanyahu ha scelto la strategia del rinvio. Dall’8 aprile al 19 maggio la Knesset sarà chiusa e per fine maggio probabilmente il governo presenterà una riforma che obbligherà gli studenti ultra ortodossi a una forma di servizio per lo Stato, non solo militare. E la mina di un possibile abbandono del governo da parte dei partiti ultra religiosi dovrebbe disinnescarsi.

"La figura di Netanyahu – osserva Maria Luisa Fantappié, responsabile Medio Oriente dello Iai, l’Istituto affari internazionali – non è certamente popolare, specie dopo il 7 ottobre, ma l’opinione pubblica, secondo gli exit poll, sembra essere ancora largamente d’accordo con gli obiettivi di sicurezza nazionale del suo governo. Quindi non penso che il governo Netanyahu sia in pericolo anche se si intravede sempre di più la sua impopolarità". "Il premier – prosegue – è sotto minaccia da due fronti: uno è quello interno, specialmente se la guerra dovesse continuare a non dare risultati pari alle aspettative e l’altro è quello internazionale, in particolare il rapporto con l’amministrazione Biden, sempre più scontenta del suo massimalismo. Netanyahu non è in prospettiva in una situazione favorevole ma siamo ancora ben lontani da un possibile cambiamento radicale del panorama politico israeliano, attraverso le elezioni".

Alessandro Farruggia