Tel Aviv, 3 dicembre 2023 – In un tiepido sabato di sole, con centinaia di persone sulla spiaggia fra le ville lussuose di Cesarea, la guerra a Gaza ha compiuto un’inaspettata intrusione, palesandosi in un pugno di manifestanti, armati di megafono, davanti alla residenza privata del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La loro presenza ed i loro slogan sono risultati talmente sgraditi ai familiari del premier che la polizia li ha caricati su un cellulare per condurli in commissariato. Poche ore dopo centinaia di dimostranti sono tornati a Cesarea con cartelloni inequivocabili: ‘Non dimenticheremo, non perdoneremo, continueremo a lottare fino a quando il premier venga rimosso’.
Mentre ancora si organizzavano, il convoglio del premier ha abbandonato la villa anche se, di norma, non dovrebbe viaggiare durante il riposo sabbatico. "Coniglio", gli ha urlato qualche dimostrante. Da gennaio una parte della popolazione si è schierata contro quello che è apparso come un attacco frontale dell’esecutivo Netanyahu al potere giudiziario, per eroderne le prerogative in maniera definitiva. Il governo sperava di realizzare la riforma giudiziaria in tempi serrati, ma la mobilitazione popolare ha sconvolto i piani. Ad ottobre l’attacco di Hamas ha rappresentato poi uno choc per l’intero Paese e, di fronte all’emergenza nazionale, le proteste sono state sospese. Quando l’esercito ha invaso Gaza, Netanyahu ha affermato che obiettivo della guerra era "l’eliminazione di Hamas". Solo in un secondo tempo, dopo l’inclusione nel governo di emergenza del leader centrista Benny Gantz, agli obiettivi prima della guerra è stata aggiunta anche "la liberazione di tutti gli ostaggi". Nel frattempo nelle strade aveva preso piede un’altra protesta, spontanea. Quella intrapresa dai congiunti degli ostaggi che hanno mobilitato l’opinione pubblica interna e sollevato anche un forte interesse a livello internazionale. Dagli studi televisivi i familiari degli ostaggi mandavano al governo un messaggio perentorio: "Prima liberare i prigionieri, per colpire Hamas ci sarà sempre tempo in futuro".
Nei sondagg il Likud di Netanyahu tocca adesso i minimi storici, mentre Gantz – un ex ministro della difesa – parrebbe il probabile vincitore, se si andasse alle urne prima della fine della legislatura. Uomo poco incline agli scontri politici, Gantz per il momento asseconda la politica del governo. Netanyahu lo vuole sempre al suo fianco negli eventi politici, ma la settimana scorsa non ha esitato ad umiliarlo facendo approvare al governo importanti finanziamenti a beneficio degli alleati politici di Likud (religiosi ortodossi e coloni) mentre Gantz avrebbe preferito che quei fondi fossero destinati ai 200mila israeliani sfollati in seguito ai combattimenti.
Non pochi analisti dubitano che Gantz abbia il polso necessario per costringere Netanyahu ad uscire di scena.
Ma ancora una volta l’ultima parola potrebbe giungere dalla mobilitazione popolare, al di la’ delle strutture tradizionali della politica. Anche ieri migliaia di israeliani si sono raccolti a Tel Aviv, nella cosiddetta ‘Piazza degli ostaggi’, per indurre il governo a riportare in patria subito i 170 ostaggi ancora bloccati a Gaza.
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