Tel Aviv, 22 febbraio 2019 - Anche Israele vuole mettere la sua bandierina sulla Luna. E se ci riuscirà, sarà tutto merito di una sbronza spaziale sotto tutti i punti di vista. Il sogno di diventare la quarta nazione ad atterrare sul nostro unico satellite nasce infatti nove anni fa in un pub di Holon, una cittadina a pochi chilometri da Tel Aviv. Pochi giorni prima Yariv Bash, un ingegnere informatico, su Facebook aveva pubblicato un post sibillino: “Chi vuole andare sulla Luna?” Gli rispondono due amici: Kfir Damari e Yonatan Winetraub. I tre decidono di parlarne davanti a una birra, che poi – con il passare delle ore – diventano molte di più. “Più il tasso alcolico saliva – ricorda con un sorriso Winetraub – più ci sentivamo determinati”. Il terzetto, ripresosi dai fumi dell'alcol, fonda una società non profit la SpaceIL.
Nove anni dopo, il sogno che puzzava di luppolo diventa realtà. Un Beresheet, uno dei lander prodotti dalla loro azienda, giovedì era a bordo di un Falcon 9 della Space X, l'azienda spaziale fondata da Elon Musk, famoso per essere tra le altre cose anche il papà delle auto elettriche Tesla. Il razzo è partito da Cape Canaveral e dovrebbe raggiungere la Luna l'11 aprile. Se la missione avrà successo, sarà la prima volta che un'azienda privata riesce a raggiungere il nostro satellite. E anche Israele, che ha sostenuto direttamente SpaceIL, potrà gioire, visto che sarà la quarta nazione, dopo Stati Uniti, Unione sovietica e Cina a mettere a segno un allunaggio.
Il lander, dotato di pannelli solari prodotti dall'italiana Leonardo, dovrebbe posarsi tra poco meno di due mesi sul basalto del Mare della Serenità. Porterà sulla Luna un disco, donato dalla Arch Mission Foundation, contenente 30 milioni di pagine di informazioni e una capsula del tempo con all'interno una Torah e oggetti che rimandano alla cultura israeliana. E dopo i brindisi, sarà già tempo di versare qualche lacrima. Entro pochi giorni dallo sbarco, Beresheet – la cui missione costerà circa 100 milioni di dollari - infatti verrà annientato dal calore del mezzogiorno lunare, perché la navicella spaziale non è dotata di sistemi in grado di assicurarne la vita per molti mesi sul nostro satellite.