Giovedì 26 Settembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

Nord di Israele, la terra degli sfollati. “I raid aerei non fermano i razzi”. L’analista: invasione? Troppi rischi

Dentice (Cesi): “Nuova escalation possibile, ma Tel Aviv non si può permettere un’operazione in profondità”

L'incendio causato da un razzo lanciato da Hezbollah sul Nord di Israele

L'incendio causato da un razzo lanciato da Hezbollah sul Nord di Israele

Roma, 23 settembre 2024 – Giuseppe Dentice, responsabile del desk Mena (Medio Oriente e Nordafrica) del Centro studi internazionali, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e il vicesegretario di Hezbollah, Naim Kassam, parlano entrambi di “nuova fase” e “resa dei conti”. Le due parti sembrano andare dritte verso uno scontro totale: andrà così?

“A oggi nessuno può negare che esiste il rischio concreto che si vada incontro ad una nuova escalation della guerra in atto. Ma in realtà non esistono risposte semplici ad una equazione complessa. A prendere alla lettera le dichiarazioni, si va verso una escalation. Ma una cosa sono le parole e l’altra gli interessi concreti degli attori in gioco. Ci sono ottime ragioni sia per l’escalation che per la permanenza dell’attuale situazione di conflitto duro, ma senza operazioni di terra".

L’escalation annunciata potrebbe servire per giungere a una de-escalation?

“Israele non ha una vera convenienza ad una operazione di terra che sarebbe molto costosa in tutti i sensi, ma potrebbe voler mettere alle strette Hezbollah, minacciando un intervento che Tel Aviv in realtà non vuole, per costringerlo a interrompere la conflittualità. È una partita di poker".

Netanyahu ha detto che il suo obiettivo è riportare la popolazione del Nord di Israele nelle proprie case.

“Obiettivo difficile, a breve”. Come raggiungerlo? Bastano gli attuali ripetuti strike aerei israeliani nel Libano?

“È quello che magari si augura lo Stato maggiore dell’Idf, ma direi che è solo con un intervento di terra, e quindi con un controllo di una fascia più o meno ampia di territorio libanese, che questo obiettivo sarebbe teoricamente più facilmente raggiungibile. Ma anche qui, visto l’arsenale di Hezbollah che consta non solo di almeno 65mila razzi ma anche di 10mila missili che praticamente possono essere lanciati da tutto il Libano, neppure il controllo di una fascia di 20-30 chilometri consentirebbe di riportare a casa la popolazione israeliana sfollata. Ergo, servirebbe una operazione di terra molto massiccia, su più direttrici e in profondità. Sicuri che Israele se la possa permettere?”.

Nel suo ultimo discorso Nasrallah ha detto che Hezbollah continuerà il conflitto con Israele fino a quando questi resterà a Gaza. Significa che in caso di tregua calerebbe la conflittualità anche sul confine libanese?

“Non credo. Hezbollah vuole una guerra di logoramento contro Israele. E viceversa”.

Che ruolo sta giocando l’Iran in questa fase?

“Gioca in difesa e non vuole essere coinvolta in nessuna operazione militare contro Israele. Lo si è visto bene dopo l’uccisione a Teheran del leader di Hamas, Ismail Hanyeh. L’Iran ha reagito solo a parole”.

L’ipotesi più probabile è quindi che permanga una situazione simile a quella che vediamo adesso, con conflittualità molto alta, sino alle elezioni americane?

“Verosimilmente, sì. Israele teme di spingersi troppo avanti con Hezbollah e poi trovarsi scoperta in caso di vittoria di Harris. Ma va anche detto che Netanyahu non è poi così sicuro che lo sbandierato appoggio totale promesso da Trump si concretizzerebbe poi in un sostegno pieno a una operazione israeliana in terra libanese che rischierebbe di innescare una guerra più ampia che richiederebbe un intervento americano”.

Stesso discorso per la tregua a Gaza? Se ne riparla dopo le presidenziali americane?

“La speranza è l’ultima a morire, ma ragionevolmente andrà così. Entrambe le parti non vogliono un accordo ora”.